sabato 12 febbraio 2011

ANALISI DI UN FATTO DI CRONACA : UN GIOVANE MINORENNE VIENE RITROVATO BARBARAMENTE UCCISO.

In una notte di fine aprile di alcuni anni fa, un ragazzo diciassettenne (che chiameremo Michele)  di una città della Campania  (cui daremo il nome di fantasia di Vastello)  scompare senza lasciare tracce. 
La mattina successiva la mamma, si allarma, perché conosceva bene le abitudini del figlio, e ne  denunzia la scomparsa al locale Commissariato di Polizia.
Scattano le ricerche e poi le indagini, disturbate, nel mentre,  da  balordi tentativi di depistaggi; una telefonata ad un giornale locale dice che Michele, il giovane scomparso, è ancora  vivo; altri messaggi pervengono ad altri giornali locali, ma, alla fine, il tutto  risulterà  opera   di  “ miseri sciacalli”.
Intanto un altro giovane (che chiameremo Gabriele), nel mentre è agli arresti domiciliari per violazione sulla legge sugli stupefacenti, dopo una settimana dalla scomparsa di Michele, dichiara spontaneamente agli inquirenti  di averlo visto la stessa mattina della scomparsa. Dopo qualche giorno il caso diventa di rilevanza nazionale.
La mamma di Michele lancia diversi appelli; si rivolge  ad una  nota trasmissione  televisiva  che si occupa  del caso con servizi.
La storia, alla fine, ha un tragico epilogo : Michele viene ritrovato cadavere, con il volto trasfigurato, dopo oltre venti giorni dalla scomparsa; il suo corpo viene trovato in una casupola di campagna, a pochi  chilometri dalla sua  residenza; è un mazzo di chiavi che permette il riconoscimento di Michele; chiavi che il minorenne aveva ancora in  tasca e che, purtroppo, aprono il  portoncino di casa sua.
Un agricoltore, che coltivava lì attorno dei terreni, fece la macabra scoperta ed allertò le forze dell’ordine; questi  riferì ai poliziotti  di aver visto il corpo di un giovane disteso per terra, con le gambe posizionate in avanti, con addosso un jeans e delle scarpe bicolore. 
Intanto le indagini proseguono; gli inquirenti ascoltano numerosi testimoni; vengono passate a setaccio le ultime ore di vita di Michele; gli investigatori sottopongono ad operazioni captative tante utenze telefoniche; mettono in moto una  macchina investigativa che porta, di li a poco,  all’arresto di un agricoltore quarantenne (che chiameremo Angelo) che, secondo un testimone oculare (che chiameremo Antonio), aveva incontrato per ultimo Michele, la giovane  vittima diciassettenne  e, secondo altri testimoni oculari,  i due, da un po’ di tempo,  si frequentavano.
Arriva il momento in cui il processo approda dinanzi alla Corte di Assise, dove Angelo, da imputato, compare a piede libero, poiché il  Tribunale del Riesame lo ha, intanto, scarcerato per mancanza di indizi a suo carico.
Insieme a lui, che è accusato di omicidio volontario aggravato, la Pubblica Accusa ottiene il rinvio  giudizio, ma per favoreggiamento, anche per Gabriele, il giovane che aveva reso delle dichiarazioni agli inquirenti.
Dopo una lunga istruttoria dibattimentale, alla fine, la Corte di Assise di Vastello, a fronte  di una richiesta di ergastolo del Pubblico Ministero, assolve Angelo, imputato di omicidio volontario ed  assolve anche  Gabriele, imputato di  favoreggiamento; ambedue  per non aver commesso il fatto.
Contro questa sentenza hanno interposto appello la Procura della Repubblica di Vastello, la Procura Generale presso la Corte di Appello  ed il difensore della costituita parte civile, autore del presente scritto.
Il processo, attualmente,  pende presso la Corte di Assise di Appello e si  è in attesa che venga fissata l’udienza dibattimentale di secondo grado.
Tutta la cittadinanza di Vastello continua ripetutamente a chiedersi se Angelo sia colpevole oppure sia  innocente; in città, a tutt’oggi, si parla di questo caso misterioso che ha scosso l’opinione pubblica  per cui  si attende il giudizio d’appello per vedere se la sentenza di primo grado sarà  confermata oppure se sarà  riformata e se l’assassino di Michele avrà un nome ed un volto oppure se resterà tutto avvolto da un alone di mistero.      
Un processo del genere, che ha suscitato tanto  interesse ed un profondo dibattito, offre numerosi spunti di analisi e di considerazioni da un punto di vista giuridico, quanto alla valutazione degli indizi e, da un punto di vista criminologico, quanto all’analisi degli indicatori del crimine.
Noi cercheremo di porre l’accento su quelli che, a nostro parere,  sono i punti chiave di questo emblematico caso;  tenteremo di analizzare gli indizi raccolti dagli investigatori, nella fase delle indagini,  e, da un punto di vista criminologico, vedremo se ci sono risvolti alternativi rispetto alla ricostruzione operata dai Giudici di  primo grado, sia pure nel pieno rispetto di quanto essi hanno scritto, motivato  e sentenziato.
In primo luogo occorre tracciare un “criminal profiling” dell’assassino di Michele soffermandoci sulla traccia di tipo criminalistico ( vale a dire la traccia fisica, cioè le borre insanguinate ritrovate sul luogo delitto, accanto al cadavere) e  contestualmente sulla traccia di tipo comportamentale ( il “perché”  ed il “chi” ha ucciso il povero diciassettenne).
Indi ci soffermeremo sugli indicatori del crimine che ci rinvieranno, secondo un protocollo generale,  allo “stile comportamentale” dell’assassino ed al “movente” che  ha spinto  il killer ad uccidere  Michele.
Cercheremo, poi, di raffrontare  questi elementi con le testimonianze raccolte ed infine, sotto un aspetto squisitamente indiziario, vedremo se gli indizi assurgono al rango di prova indiretta ovvero se essi sono inseriti in una causale seria che ci portano ad identificare l’assassino di Michele che noi,  in sintonia con l’Ufficio di Procura,  al di là del pregiudizio antitetico dettato dalla funzione di parte civile che abbiamo svolto in questo processo.
La base da cui partiremo è  l’art. 192 del codice di procedura penale facendo dei riferimenti a delle massime della Cassazione che, nel tempo, hanno stabilito il principio secondo cui, in un processo indiziario, come è questo, per giungere ad un sentenza di condanna tutti gli indizi oltre ad avere le previste qualità non ci devono condurre all’ approssimazione”, pericolo tipico  proprio dalla “prova indiretta”.
Non vi è dubbio che la posizione centrale in questo processo appartiene ad  Angelo, l’agricoltore  quarantenne che frequentava Michele, la giovane vittima e che, per ultimo, come ha riferito un testimone oculare, Antonio,  lo ha portato con sé, nella sua auto.
Un primo dato di partenza lo ricaviamo dall’ esame autoptico eseguito sul corpo di Michele;  emerge che il  corpo della  vittima  presentava lesioni al torace ed al capo, causate dall’azione d’arma da fuoco a carica multipla,  esplose da due cartucce che attinsero rispettivamente la regione anteriore della base del collo e la regione del mento.
L’esplosione di tutte e due i colpi avvenne a distanza ravvicinata ed i pallini (quattro, ne vennero ritrovati nel corpo) lo attinsero prima che si aprisse la rosata necessaria,  producendo una forza lesiva che causò uno sfacelo cranio-meningo-encefalico; quindi una  morte  istantanea, ha dichiarato il medico legale.  
In buona sostanza  furono esplose due cartucce da una distanza intorno agli 80 centimetri circa e tutti e due i colpi, considerato il tipo di lacerazione del cardigan che il ragazzo indossava,  vennero esplosi dal basso verso l’alto. 
Il secondo dato che emerge è che passarono  meno di due ore tra l’ingestione dell’ultimo pasto, a base di pane, pizza o pasta,  e la morte di Michele.
Ed allora vediamo come il consulente è arrivato a retrodatare l’epoca della morte di Michele. Egli è partito dal fatto che nello stomaco della vittima furono rinvenuti cento centimetri cubici di materiale alimentare poltaceo (appunto pane, pasta, pizza), in via di chimificazione.
Ora, se lo stomaco di un individuo normale, peraltro giovane, si svuota, con un pasto del genere, nel giro di tre ore, considerato che non era stato trovato materiale alimentare nel tratto intestinale più prossimo,  ciò significa che non c’era stato ancora un iniziale svuotamento; dunque erano trascorse non più di due ore tra la morte e l’assunzione dell’ultimo pasto.
In definitiva – ha concluso il consulente -  in base ai fenomeni tanatologici la morte era genericamente compatibile con l’epoca di scomparsa del giovane; in buona sostanza la data della morte era compatibile con venti o trenta giorni,  prima dell’accertamento autoptico.  
E’  così che il medico legale sostiene la tesi della  compatibilità della  data della morte con quella della scomparsa della vittima.
A questo punto  è interessante ricostruire le ultime ore di vita di Michele, partendo dal dato di fatto che egli, verso la mezzanotte, all’incirca, cioè due ore prima di essere ucciso, mangiò  una pizza con degli amici (che lo hanno confermato).
Michele, quindi, verso la mezzanotte del giorno della scomparsa mangiò una pizza insieme con degli amici; egli  venne ucciso presumibilmente quello stesso giorno, verso le due del mattino con due colpi partiti da un fucile da caccia, a pochi chilometri da dove abitava e da dove si allontanò con Angelo, che, per ultimo, lo aveva incontrato come aveva dichiarato Gabriele.
Infine è molto verosimile che Michele venne ucciso nella stessa  masseria dove venne ritrovato il suo corpo privo di vita; vero è che a terra, vicino al suo cadavere, venne ritrovata una traccia fisica importante,  delle borre insanguinate.
Tutto ciò significa che è possibile una ricostruzione storica dei fatti diversa da  quella operata dai Giudici di primo grado.
La nostra convinzione si fonda anche sull’analisi dei movimenti della giovane vittima, Michele, nelle ore immediatamente precedenti alla sua uccisone.
Ma Michele, mangiata la pizza, con chi  passò il resto del tempo, quella notte? Chi aveva un movente per ucciderlo ? 
Gli investigatori, a dibattimento, hanno affermato che Angelo, che era un agricoltore quarantenne di Vastello, da alcuni mesi, “ frequentava  Michele.
Una frequentazione certamente strana ( è stato detto da più parti )  perché tra le due persone vi era una notevole differenza di età notevole ( oltre ventitré anni, li separava !).
Un ufficiale di p.g.  ha usato, a tal proposito, una frase che, secondo noi, fotografa molto bene la sostanza della frequentazione tra i due protagonisti di questa vicenda :  il rapporto tra i due era quasi un rapporto di tipo “lavorativo”, nel senso che  Michele saltuariamente faceva dei lavoretti illeciti per  conto di Angelo.
Quindi il loro rapporto era di mero scambio : da un lato il  facoltoso agricoltore, Angelo, che viveva  alla periferia della città;  un uomo solo,  che di solito non parlava con nessuno; dall’altro lato Michele, un ragazzo minorenne, il classico bulletto di un rione,  cresciuto senza padre,  era facile preda di chi lo usava.  
E’ questo l’elemento che come abbiamo sostenuto in Corte di Assise ci porterà a ricostruire il vero movente di quest’ omicidio volontario, premeditato ed aggravato.
In buona sostanza tutti gli amici della vittima hanno ricostruito i rapporti  tra Michele ed Angelo, un contadino quarantenne di Vastello  ed hanno detto che il  loro  era un rapporto di  mero scambio. Michele, per soldi, si prestava a fare quanto Angelo gli commissionava; aveva incendiato addirittura un’autovettura per la qual cosa il giovane ricattava Angelo; Michele  voleva sempre più soldi.
Un altro testimone ha riferito dei ricatti che Michele rivolgeva Angelo che temeva di essere coinvolto nella storiaccia dell’incendio dell’autovettura.
E’ doveroso ora  ricostruire la scena del crimine e le componenti del piano criminale.
Per far ciò facciamo ricorso alla criminologia la quale ci insegna una serie di cose, tra cui : una corretta interpretazione della scena del crimine può indicare il tipo di personalità dell’omicida (l’offender) e di come  questi  ha ideato  ed  organizzato il crimine; che la scena del crimine è una forma di comunicazione tra l’autore del delitto e l’investigatore; che la interazione della diade omicidiaria (assassino/ vittima)  lascia sempre una traccia di sé, ovvero una  traccia fisica che è quanto resta del contatto tra due corpi (la memoria di quello che è avvenuto; la prova che lo lega alla sua vittima,  come ad es. il posizionamento dell’aggressore nei confronti della vittima sulla scena del crimine; il ritrovamento di importanti reperti  ecc..).
Ed allora, in un quadro del genere, noi dobbiamo riuscire a tracciare sia lo scenario del crimine che il profilo criminale dell’’offender; da ultimo il  movente che ha animato l’omicida.
Premesso che Michele ricattava Angelo per l’incendio dell’auto che  aveva fatto su sua diretta commissione, è verosimile che proprio lo stesso Angelo, insieme ad un suo  fidato complice,  abbia  organizzato ed eseguito l’omicidio del giovanissimo  Michele, come ha sostenuto la Pubblica Accusa.
La notte della scomparsa, Angelo fece salire il ragazzetto sulla sua auto e lo condusse in una masseria  di campagna; un posto che entrambi conoscevano; lì ad attendere Michele, all’interno di quella casupola, al buio, in un angolo,  accovacciato, si era posizionato l’assassino, armato di un fucile da caccia già carico e pronto a sparare.
Non appena Michele entrò in quella casupola il killer gli esplose in faccia due colpi a bruciapelo ad una distanza ravvicinata ( poco più di un metro), mentre Angelo, mandante dell’omicidio, era fuori ad aspettare; dopo che aveva condotto lì  la vittima  con la scusa  di fargli vedere un ’arma. 
Nel momento in cui Michele entrò in quel casolare e  fece  due o tre passi avanti, il killer gli esplose, in volto,  due colpi, partiti dal basso verso l’alto ed Michele morì all’istante, cadendo all’indietro. L’assassino eseguì, così,  l’ordine di Angelo, che era lì fuori.
Abbiamo parlato di due colpi mortali sparati in volto,  partiti dal basso verso l’alto; il primo colpo che attinse il ragazzo al collo ed il secondo al mento. Un‘ esplosione a distanza ravvicinata, perché i pallini  colpirono il giovane, prima che si aprisse la rosata.
Questa ricostruzione coincide perfettamente con quella operata dagli investigatori che hanno riferito che il corpo di Michele venne ritrovato riverso al suolo, in posizione supina.
Circa lo scenario del crimine, sempre sotto un profilo criminologico, abbiamo uno scenario del secondo tipo, in cui tre luoghi coincidono mentre il terzo è diverso.
Coincide il luogo del delitto ( denominato L2 ) con quello dell’abbandono del cadavere ( denominato L3)  con quello del ritrovamento dello stesso cadavere ( denominato L4).  E’ diverso, invece, il luogo della scomparsa ( denominato L1).         
Quanto, poi, al “criminal profiling”   l’assassino  era  verosimilmente un cacciatore ( lo dimostrano le tanti armi trovate a casa di Angelo ed il fatto che  Michele sia stato ucciso con un fucile da caccia);  era  un agricoltore.
In un contesto del genere Angelo  pensò di uccidere Michele  secondo il suo schema mentale : ideò un omicidio in una masseria di campagna abbandonata (un posto che conoscevano bene entrambi);  un luogo abbandonato, tranquillo, discreto  che il ragazzo avrebbe sicuramente raggiunto, insieme con lui senza fare troppe domande; un omicidio da eseguirsi  con un fucile da caccia ( di cui aveva facilità a procurarsi e, poi, aveva facilità a disfarsene).
E così fu ucciso Michele ! In quel casolare di campagna; dopo di essere stato crivellato di colpi,  esplosi da un fucile ( cd. a pallini ) da caccia,  a munizioni spezzate.
Lo prova traccia fisica ancora presente sul luogo del delitto dopo oltre venti giorni dal delitto; vale a dire le borre insanguinate ritrovate per terra, in quella casupola.
Ecco  le nostre prime considerazioni :
1)    Non ci troviamo di fronte a killer professionisti, altrimenti avrebbero occultato il cadavere o, comunque,  non lo avrebbero abbandonato  nello stesso posto dell’omicidio;
2)    Non ci troviamo di fronte ad un omicidio dettato da altre ragioni (di camorra, ad esempio), altrimenti le  modalità generali del delitto sarebbero state diverse;
3)    Non ci troviamo di fronte a casi di “staging”, cioè di alterazione della scena del crimine,  in quanto gli assassini  sono rimasti sulla scena del crimine il tempo strettamente necessario.
4)    Non ci troviamo di fronte a casi di “over killing” perché sul corpo della vittima non  sono  state rinvenute azioni aggressive  post mortem.  
In definitiva, da un punto di vista criminologico, versiamo, in un caso di “omicidio volontario, premeditato e previsto,  con alcune isole disorganizzate (ad esempio il cadavere lasciato sul luogo dell’omicidio;  le borre insanguinate lasciate accanto al cadavere e così via) “.
Vediamo ora  il “modus operandi”  del killer e la tecnica di contatto tra l’ offender e la vittima.
In base agli elementi analizzati non vi è dubbio che il rituale esecutivo del killer  è stato scarno, rapido spietato.
Abbiamo già detto che non vi è stato infierimento sul cadavere (over killing) e che i due colpi esplosi sono stati tutti e due mortali con l’intento preciso di uccidere Michele, nel più breve tempo possibile.
Di qualunque tipo di fucile da caccia si sia trattato, il killer ha azionato sicuramente due volte il grilletto. La vittima, poi, una volta uccisa, è stata abbandonata nel luogo del  delitto.
In buona sostanza, il modus operandi e lo stile comportamentale dell’aggressore, dell’offender, del killer e del suo complice; l’arma utilizzata (un fucile da caccia); il piano di fuga; la presa di distanza dal crimine e dalla scena del crimine, denotano un livello qualitativo del crimine del tipo medio - basso.
In definitiva,  il killer di Michele  è un criminale non professionista, che ha compiuto un’ attività estemporanea su commissione; il mandante, invece, è stato mosso da frustrazione, rabbia distruttiva covata ed esplosiva.
Angelo, ricattato da Michele, è esploso ed  ha operato in modo organizzato e determinato; egli conosceva bene la vittima ed il territorio (aveva una cd. territorialità esecutiva) cioè conosceva perfettamente i luoghi dell’omicidio (che sono gli stessi dove è stato ritrovato il cadavere).
In definitiva il killer ed il mandante sono  persone decise e motivate, con padronanza dei luoghi del crimine che  si sono agevolmente  spostati lungo i percorsi del crimine.
Analizziamo i fattori presi in considerazione dall’ offender nell’esecuzione del piano criminale.
Il fatto che l’omicidio è avvenuto all’interno di una casupola di campagna, al buio (dopo di aver attirato il diciassettenne Michele in un agguato fatale), di fatti,  doveva rendere impossibile la via di fuga alla vittima.
Il luogo dell’omicidio, poi,  è stato scelto dagli assassini per garantirsi la via di fuga,  dopo di aver commesso quel delitto in un luogo che essi conoscevano bene, anche al buio per evitare di essere visti.
Quanto al “criminal profiling” del mandante dell’omicidio, egli  non ha avuto  senso di colpa e di rimorso; viceversa , compiuta  un’azione omicidiaria del genere, è ritornato nel più completo stato di  calma,  fingendo una sua estraneità al fatto.
Versiamo nel caso della “cancellazione psichica” che è un misto tra il  voler uscire di scena ed  il tentativo di voler dimenticare il male fatto.                   
Una considerazione finale : l’assenza sul luogo del delitto (e nei luoghi viciniori) dell’arma del delitto (un fucile da caccia ) significa che l’arma venne  portata con sé dall’assassino e che con lui se ne andò. Questo può significare molto verosimilmente  che l’arma del delitto  fa parte  dell’ habitus mentale dell’assassino.
E siamo arrivati all’analisi del movente, della causale dell’omicidio.
Sappiamo che il movente è il “perché si commette il crimine; è collegato alla volontà colpevole, alla gratificazione, all’utilità  ottenuta dal crimine; si deduce dalla scena del crimine, dal modus operandi dell’assassino; dalle caratteristiche delle vittima; dagli aspetti storici della vicenda ecc….
Tanto premesso non vi è dubbio che Angelo  aveva un movente per far uccidere  Michele.
Infatti  acclarata la circostanza dell’incendio dell’auto,  è  verosimile  il piano del ricatto ricattatorio  che il ragazzetto aveva posto in essere nei confronti di Angelo per estorcergli sempre più  denaro.
Ed è la manovra ricattatoria  (di cui hanno riferito i tanti  amici della vittima) che ci porterà a ricostruire le ragioni, il movente, la diade omicidiaria, la connessione vittima-autore.
Un movente del tipo causale e logico che ha spinto e motivato Angelo, in paura ed in collera insieme,  a volere la morte di Michele.
Dunque il movente primario è stato la rabbia, la collera, la paura di Angelo di rimanere coinvolto nell’incendio, mentre il movente secondario è stato l’omicidio su commissione: queste, in sintesi,  le componenti del piano criminale.
La vittima, nonostante la sua giovanissima età, come abbiamo più volte detto, ricattava il quarantenne con incessanti richieste di denaro ( è circostanza, questa, riferita dai testi!).
In cambio del suo silenzio Michele voleva soldi per cui aveva di sana pianta inventato la storia della camorra;  così  esercitava una stressante pressione psicologica su Angelo che, per queste ragioni, arrivò a programmare la morte di Michele.
Particolare attenzione va posta sul  luogo del ritrovamento del  cadavere della vittima.
La masseria in questione è una vecchia casupola di campagna, abbandonata da anni, di notte non illuminata e frequentata da prostitute; posizionata alla fine di una stradina sterrata; difficile da raggiungere per chi non conosce il posto, specialmente di notte.  
Per queste ragioni è verosimile che la vittima si recò in quel posto con Angelo ed ambedue conoscevano la zona. Ed Angelo  quella masseria, quei terreni limitrofi li conosceva davvero bene !
Testimoni hanno riferito che Angelo  non solo conosceva quella zona, ma che addirittura aveva intenzione di prendere  in fitto un terreno alle spalle di quella masseria, da un suo cugino; ciò  in epoca  di poco antecedente alla scomparsa di Michele e di ciò non ne  parlò agli investigatori ( lo ha tradito  solo una sua telefonata captata).
Ma l’agricoltore Angelo nell’esecuzione di quest’omicidio è stato la mente; il braccio armato è stato quello di un suo operaio albanese (che chiameremo Omar) con il quale nel mese precedente al ritrovamento del corpo del giovane ebbe molti contatti telefonici; successivamente Omar disattivò la sua utenza. Di lui, poi, non si seppe più niente.
E’ proprio ad Omar che Angelo, intercettato in una sala del Commissariato di Polizia, intimò il silenzio ( lo ha riferito un ufficiale di p.g. che assistette alla scena).
Se questa è la provvista indiziaria ora è compito della Corte di Assise di Appello  rivalutare questo materiale per confermare il verdetto assolutorio di primo grado, come chiederanno i difensori di Angelo,  oppure  di stravolgere la pronuncia ed indi  condannare gli imputati alle rispettive pene di giustizia, come ha chiesto la Procura della Repubblica e la Procura Generale  e l’ avvocato, autore di questo scritto, che, in questo processo, ha rivestito  il ruolo di parte civile.

Avv. Raffaele Gaetano Crisileo