sabato 20 dicembre 2014

I CAVALIERI DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME, DOMENICA 21 DIC. 2014 ALLE ORE 16.30 NEL SANTUARIO MARIANO DI CAMIGLIANO - LEPORANO



Domani pomeriggio, domenica 21 dic. 2014, alle ore 16.30 l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme Capua, Delegazione di Capua, sotto la guida del suo Neo Delegato, l’avv. Raffaele Gaetano Crisileo, nell’ambito delle programmazioni  mensili dell’Ordine e della rotazione delle funzioni presso le Chiese ed i Santuari collocati nel territorio dell’Arcidiocesi di Capua parteciperà alla celebrazione di una  Solenne Eucarestia presso il Santuario Mariano Maria Santissima  Ruota dei Monti in Camigliano (Caserta) alla Via Leporano. Durante la Celebrazione della Santa Messa, il parroco e reattore dell’antichissimo e caratteristico santuario mariano, Padre Franco Amico, fratello spirituale della mistica Teresa Musco, benedirà la nuova bandiera della Delegazione di Capua ed al termine,  prima dello scambio degli auguri natalizi, verrà letta suggestiva la Preghiera del Cavaliere, che era solito recitare il Beato Bartolo Longo, cavaliere dell’Ordine, le cui spoglie riposano nel Santuario Mariano di Pompei.
L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (O.E.S.S.G.), antichissimo ordine cavalleresco cattolico, il solo riconosciuto dal Pontefice insieme a quello dei Cavalieri di Malta ed avente personalità giuridica canonica e civile, è legato alla Basilica di Gerusalemme ed è la sola istituzione laicale della Santa Sede collegata al Patriarcato Latino di Gerusalemme, incaricato di sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. La Repubblica Italiana, considerato l’alto prestigio dell’Ordine, riconosce le onorificenze rilasciate dal Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, S.E. il Cardinale Edwin Frederick O'Brien.
    



martedì 16 dicembre 2014

IL NUOVO PACCHETTO ANTICORRUZIONE, MA SERVE ANCHE E SOPRATTUTTO LA PREVENZIONE CULTURALE.


Come annunciato dai mass media, il pacchetto anticorruzione, varato il 12 dicembre scorso dal Consiglio dei Ministri, è stato arricchito di nuove e più rigide misure. La pena minima per la corruzione propria, passa dagli attuali quattro anni ai nuovi sei anni di reclusione, mentre la pena massima passerà dagli attuali otto anni ai nuovi dieci anni di reclusione. Per quanto riguarda i sequestri, saranno previste confische più stringenti. Il ricorso al patteggiamento della pena, di conseguenza, sarà possibile solo se si restituiranno i beni che saranno, successivamente, oggetto di provvedimento di specifica confisca. A fare da schema guida, in questo nuova direzione, sarà, secondo noi, la disciplina già prevista per i reati tributari, dove è possibile accedere al rito del patteggiamento, solo se viene saldato il debito, sanzioni comprese,  con il Fisco. La prescrizione, poi, si allunga di due anni, dopo la condanna di primo grado e di un anno, dopo il secondo grado di giudizio. Per quanto riguarda, invece, i reati commessi nel passato, vige ovviamente il costituzionale principio giuridico del “favor rei”, nel senso che le nuove regole sulla prescrizione in generale e sull’ applicazione della nuova pena della corruzione, in particolare, andranno in vigore, o meglio si applicheranno, a partire da quando il testo diventerà legge dello Stato. Si tratta, in buona sostanza, di un disegno di legge, quello denominato “nuovo pacchetto anticorruzione”, e non di un decreto legge; quindi il testo potrebbe subire delle modifiche sostanziali (e certamente, pensiamo, le subirà, nel suo iter successivo).  D’altro canto, però, noi riteniamo che modificare solo le pene della fattispecie incriminatrice della corruzione, inasprendole, serve a ben poco, perché ciò che davvero occorre, per sventrare un fenomeno del genere, così complesso, intricato ed articolato, sono soprattutto gli strumenti investigativi che devono essere potenziati ed allargati, in quanto, nonostante la sottoscrizione da parte dell'Italia della Convenzione di Strasburgo, nella lotta alla corruzione del 1999, ancora non è stato ratificato quel testo, con l'introduzione di due nuovi strumenti investigativi essenziali ed indispensabili, come  ad esempio il “test di integrità” e la “legislazione premiale”. In tale ottica registriamo ancora delle forti lacune che non ci consentono di allinearci alla legislazione europea vigente. In definitiva noi pensiamo che le nuove e proposte norme anticorruzione nel D.D.L., effettivamente, se è vero che da un lato appaiono forse opportune, da un altro lato, però, non si devono limitare a prevedere, soltanto, nella sanzione, solo "misure più dure", perché ciò serve davvero a poco, ma devono esercitare un'effettiva, concreta e specifica deterrenza"; in tal senso concordiamo con il pensiero espresso sul punto dal Ministro della Giustizia.
E se ciò è innegabile ed è vero, molto onestamente noi, da ultimo, pensiamo anche e soprattutto, che non si possa ritenere di risolvere il devastante fenomeno con una semplicistica modifica della norma incriminatrice che punisce la corruzione, nella sanzione prevista, ad appena due anni da un precedente modifica della stessa. Non ci dimentichiamo che con la recentissima Legge 6 novembre 2012 n. 190 già vi era stato un serio e forte inasprimento di pena; peraltro l’inasprimento in questione era stato, come abbiamo sopra anticipato, anche certamente considerevole e serio e ciò nonostante – dobbiamo purtroppo constatare ! –  la situazione generale non è cambiata, anzi i casi di corruzione sono aumentati; basta soffermarsi a leggere gli ultimi, ed eclatanti, casi di cronaca nazionale, come quello accaduto a Venezia e quello accaduto a Roma. Ed ebbene, ciò cosa significa? Significa che bisogna riflettere su quali sono gli elementi che spaventano di più coloro che sono portati a corrompere o a farsi corrompere. Su questo passaggio sempre il Ministro della Giustizia ha dichiarato “ che  è  importante la scelta di mettere l'accento sull'aggressione dei patrimoni: chi corrompe o si fa corrompere lo fa per denaro. Sequestrare il denaro, seguirlo e aggredire la ricchezza, che ha come fonte la corruzione che non è soltanto un modo di restituire alla collettività il maltolto, ma è un modo anche di creare deterrenza nei confronti dei soggetti che attribuiscono, a questo aspetto, una particolare importanza". Una tesi del genere, come cittadini, la  condividiamo, ma come operatori del diritto ci lascia perplessi perché riteniamo che ciò che sia davvero importante è la certezza della pena in quanto allungare i termini della prescrizione è solo una risposta semplicistica, ma non risolutiva al problema (in quanto, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio dei Ministri, la lotta alla corruzione "è una questione culturale",  che –aggiungiamo doverosamente noi – bisogna sradicare, non di certo con una legislazione di emergenza, ma con una grossa opera di prevenzione culturale). Viceversa, modificando ed inasprendo, solo e continuamente, la sanzione della norma penale,  viene meno la certezza del diritto, in un Paese, come il nostro, che è stato da sempre la culla della civiltà giuridica,  anche se  il reato è innegabile vada combattuto (perché è il patologico della società), ma vada, anche e soprattutto, pure prevenuto in ogni modo possibile.                                                                                                        avv. Raffaele G.Crisileo  

STA PER PARTIRE LA QUINTA EDIZIONE DEL CORSO DI ALTA FORMAZIONE IN CRIMINOLOGIA FORENSE.

S. Maria C.V. - Quinta Edizione del Corso di Alta Formazione in Criminologia Forense. Il 13 gennaio 2015 inaugurazione con il giornalista Salvo Sottile, moderato dall’avv. Raffaele G. Crisileo. Novità: l’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere ha accreditato la partecipazione al corso, nell’ambito della formazione continua, con l’attribuzione di tre crediti formativi per ogni evento- lezione previsto dal Corso.  

Nell’Aula Franciosi della Seconda Università, nel Palazzo Melzi in S. Maria C. Vetere, il 13 gennaio 2015, alle ore 16.00, avrà inizio la Quinta Edizione del Corso di Alta Formazione in Criminologia Forense. Ad organizzarlo il Formed Caserta in convenzione con il Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli.
Testimonial il giornalista Salvo Sottile che parlerà di casi di omicidio trattati nella conduzione dei suoi programmi televisivi nonché presenterà, in anteprima nazionale, il suo nuovo  libro “Cruel”.
La prof.sssa Vittoria Ponzetta, direttrice del Formed, quest’anno ha  rivoluzionato l’assetto  del Corso; la durata della  formazione non è più semestrale, ma annuale con l’esame finale presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda Università, dinanzi ad una Commissione presieduta dal prof. Giuliano Balbi, ordinario di diritto penale e direttore scientifico del corso.  Il coordinamento didattico è stato affidato all’avvocato penalista  Raffaele Gaetano Crisileo. All’ inaugurazione del corso vi è il giornalista Salvo Sottile.
Un nuovo taglio all’intero corso di criminologia :  i maggiori casi di omicidio alla ribalta della cronaca nazionale per analizzarli in via criminologica con l’analisi della scena del crimine e tematiche psicologiche e penali connesse.      
Il corso di  alta formazione, con frequenza  settimanale obbligatoria, il giovedì pomeriggio, prevede  complessivamente 210  ore di  lezioni ex cathedra di giuristi, psicologi, criminologi e psichiatri  e vuole conferire competenze infoinvestigative per la disamina di  crimini complessi e per lo studio della scena del crimine e delle tecniche investigative. Le lezioni tra l’altro riguarderanno i delitti contro la vita,  quelli a sfondo sessuale, lo stalking, i crimini  informatici, internazionali, economici;  l’omicidio seriale, il profilo criminale, lo studio della vittima ecc.
Con la discussione della tesi finale scritta, presso l’Università, i corsisti conseguiranno “ Certificazione di Alta Formazione in Criminologia Forense e Criminalistica”, spendibile nel mondo professionale.
Importate novità : l’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere ha deliberato di accreditare la partecipazione al corso di Criminologia, nell’ambito della formazione continua, con l’attribuzione di tre crediti formativi per la partecipazione ad ogni evento – lezione previsto dal Corso.


sabato 6 dicembre 2014

LA RECENTE LEGGE SULLA NON PUNIBILITA’ DEI REATI PIU’ LIEVI ED I RIFLESSI SULLA POPOLAZIONE NELLE CARCERI.

Il decreto legislativo, varato qualche giorno fà, contempla “ la non punibilità dei reati più lievi, quelli per i quali è prevista, oggi, una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di carcere ed una pena pecuniaria, sola o congiunta alla precedente, quando l'offesa è di particolare tenuità  e quando il comportamento di chi ha compiuto il reato non è abituale. Una non punibilità, questa, che potrà essere dichiarata in ogni fase e grado del processo e la parte offesa (che potrà opporsi all'archiviazione) potrà seguire, se lo vorrà, la strada del risarcimento in sede civile. L’archiviazione potrà scattare in qualsiasi fase del procedimento, ma la magna pars avverrà durante le indagini preliminari, con un alleggerimento del carico giudiziario. Dopo l’istanza del Pubblico Ministero, sono previsti dieci giorni di tempo, per proporre opposizione al Giudice per le Indagini Preliminari”.

Tanto è previsto nel decreto legislativo che tratta di condotte di «particolare tenuità» e che dà attuazione alla legge delega n. 67/2014, sulla messa alla prova e sulle misure alternative al carcere. In buona sostanza può essere chiesta  l’archiviazione, per tenuità del fatto, per tutti i reati cui ora abbiamo fatto cenno, tra cui alcuni delitti contro il patrimonio, come ad es. furto semplice, danneggiamento, truffa, violenza privata e minaccia.
Il Consiglio dei Ministri ha anche dato il via libera al disegno di legge sulla cooperazione penale, con misure su rogatorie ed estradizioni per rafforzare la cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali sovranazionali. L'obiettivo di questo intervento normativo è quello di velocizzare le modifiche per consentire  una maggiore cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati e, di conseguenza, rafforzare gli strumenti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminali di dimensioni sovranazionali. Ma ritornando alla non punibilità dei reati più lievi; sul punto  ci dobbiamo chiedere: questo provvedimento è sufficiente ad affrontare e risolvere la emergenza carceraria ? Secondo noi, molto onestamente, non lo è !
Nel nostro Paese la situazione carceraria è oramai una seria e concreta emergenza che non può più essere procastinata nel tempo e che bisogna risolvere  con urgenza; in concreto questo provvedimento legislativo adottato non è certamente la panacea risolutiva. Forse un inizio, un buon inizio, ma la strada è ancora lunga a percorrere.Come più volte abbiamo scritto,  i problemi da affrontare  sono tanti e diversi:  dall’edilizia carceraria, perché  i penitenziari  sono spesso vecchi e desueti, a quello del sovraffollamento, perché i penitenziari italiani ospitano una popolazione di detenuti quasi il doppio rispetto alla loro capacità di ricezione.
In buona sostanza l’emergenza carceraria era drammatica e lo è tuttora!
E’ vero che i detenuti sono reclusi per reati  gravi, se non gravissimi, tuttavia essi, in quanto persone, hanno il  diritto al rispetto della  persona e della dignità.
Ed allora cosa risuggerire per una risoluzione del problema ?
Il coraggio di adottare un provvedimento clemenziale : un’amnistia (come quella del 24 ottobre 1989, l’ultima che c’è stata) ed un  condono  potrebbe, di certo, aiutare allo svuotamento carcerario  ed aiuterebbe, di certo, anche i Giudici che, quotidianamente, affrontano una miriade di processi, molti dei quali di non  più allarme sociale attuale.
Le tanti interrogazioni parlamentari dirette al Ministro della Giustizia per conoscere quali iniziative intenda intraprendere in tema sovraffollamento carcerario sicuramente avranno i loro effetti, almeno -  ce lo auguriamo -  da operatori del diritto quali siamo e da cittadini della Repubblica.

Avv. Raffaele Gaetano Crisileo


sabato 29 novembre 2014

LA NUOVA LEGGE SULLA DIFFAMAZIONE :LE NOVITA' EPOCALI.


Finalmente un cambio di rotta. Vediamo con piacere che sta per essere approvata la nuova legge che novella il reato di diffamazione. Sostituire la pena reclusione con la multa (da cinque a diecimila mila euro) e se l'offesa, invece, consiste nell'attribuire un determinato fatto falso, la cui diffusione sia avvenuta, consapevoli della sua falsità, pure con la multa (ma da ventimila a sessantamila euro) significa allinearsi alla legislazione europea ed è un proclama di libertà. Libertà non significa, però, libero arbitrio, ma significa libertà d’informazione nei principi espressi dalla Costituzione e dal vigente codice di rito, nell’ambito di un’etica dell’informazione. Ma vediamo più da vicino l’emananda legge che, dopo oltre sessantanni, è stata approvata dalla Camera e che è al Senato per l’iter definitivo. Le innovazioni sono determinanti in quanto il reato di diffamazione a mezzo stampa è punito, oggi, secondo l’ art.  595 c.p., con la reclusione da sei mesi a tre anni o con una multa non inferiore a 516 euro. Tra le novità introdotte, vi è il fermo alle repliche ed alle rettifiche: in buona sostanza, in calce alle rettifiche non potranno esserci più commenti del giornalista. La nuova legge riguarderà anche le testate giornalistiche online registrate, mentre non comprenderà i blog. Altri punti focali della novella possono essere così sintetizzati: se il reato di diffamazione è commesso via internet, scatterà un criterio di competenza territoriale nel senso che è competente a decidere il Giudice del luogo di residenza della stessa persona offesa. Sono, al contempo, previste le stesse pene della diffamazione anche per i giornalisti che non pubblicheranno le dovute rettifiche. La nuova legge consente, poi, al direttore di delegare, per iscritto, le funzioni di controllo a uno o più giornalisti professionisti. Viene, poi, previsto che il direttore o il vicedirettore (anche di testate online) risponda dei delitti commessi con il mezzo della stampa se il reato è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza. In tal  caso la pena è ridotta di un terzo e non viene applicata la sanzione accessoria dell'interdizione dall'esercizio professionale e alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l'interdizione da uno a sei mesi dalla professione. Grossa notifica è che la rettifica sarà valutata dal Giudice come causa di non punibilità. Nella proposta di legge è stato completamente modificato l’istituto della rettifica, nei suoi tratti essenziali : innanzitutto le dichiarazioni o rettifiche delle persone offese dovranno essere pubblicate senza commento. Ciò è esteso anche alle testate giornalistiche online ed alle trasmissioni televisive e radiofoniche che devono pubblicare la rettifica entro due giorni dalla richiesta con le stesse caratteristiche grafiche e con la stessa visibilità della notizia, quando è stata pubblicata la prima volta. In caso di inadempienza, l'interessato può inviare la richiesta all'Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni e può rivolgersi al Giudice  chiedendo un provvedimento di urgenza. La rettifica inoltre è estesa alla stampa non periodica. Il nuovo testo della proposta di legge introduce novità sul risarcimento del danno previsto, come conseguenza del reato di diffamazione,  commessa con il mezzo della stampa. In tal caso il Giudice dovrà valutare (e tener conto) della portata della diffusione e della rilevanza nazionale della notizia. Il provvedimento modifica inoltre le responsabilità del direttore che risponde dei reati commessi a mezzo stampa, qualora essi siano conseguenza della violazione dei propri doveri di vigilanza. Importante novità è che il direttore  può delegare la vigilanza a giornalisti professionisti con delega scritta che dovrà essere accettata dal delegato. Infine, con la nuova norma, non solo il giornalista professionista, ma anche il pubblicista potrà opporre al Giudice il segreto sulle proprie fonti. In conclusione, tirando le somme in base a questo rapidissimo excursus che abbiamo operato,  a nostro parere ben emerge che la nuova legge sulla diffamazione, se a giorni sarà approvata definitivamente dal Senato, come ci auguriamo, sarà una innovazione importante nel campo della stampa e del reato di diffamazione in particolare. In definitiva la novella sarà, a nostro avviso,  uno strumento utile ed efficace per consentire a tutti gli operatori del pianeta stampa di lavorare  con maggiore serenità ed equilibrio, una volta eliminata la previsione della  sanzione del carcere, che rappresentava un retaggio antico, frutto di altra epoca e di un’altra storia, oggi non più attuale. Ma quel che è importante è che mai devono essere superati né aboliti i principi  cardini della norma penale sul reato di diffamazione in quanto deve essere tutelata la verità e la continenza della notizia, nel pieno rispetto dell’etica dell’informazione e soprattutto della dignità della persona, cui si riferisce l’articolo di stampa.

avv. Raffaele Gaetano Crisileo    

domenica 16 novembre 2014

ETICA ED INFORMAZIONE BREVE SINTESI DELLA RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE PER I GIORNALISTI PROFESSIONISTI IL 14.11.2014

“Il tema delle implicazioni etiche interessa i protagonisti dell’informazione della carta stampata e del mondo digitale ed in questo campo occorre dedicare la maggiore attenzione possibile all’etica. Ciò in quanto un giornalismo serio e corretto dipende dalla coscienza morale, dall’etica dei giornalisti, appunto, e non solo dalla legge e dalla deontologia. Quindi occorre ricostruire il sottile rapporto tra Etica ed Informazione. Non dobbiamo dimenticare che le agenzie di informazioni, nello sviluppo delle società, sono state un elemento importante. Oggi la loro esistenza è in pericolo perché, con l’avvento di internet, non hanno più la informazione in esclusiva; con la radiotelevisione, poi, hanno perso il primato della rapidità. Nel secolo scorso prima si ebbe la nascita dei quotidiani di informazione, come mezzo di conoscenza e di lavoro, e poi la comunicazione diretta divenne più limitata e ad essa si sostituì la stampa. Dagli anni sessanta in poi esplose l’informazione, grazie alla tecnologia e le agenzie d’informazioni divennero  gli unici mezzi capaci di informare rapidamente. Negli anni novanta si è passato al digitale e si sono aperti nuovi orizzonti come la multimedialità dell’informazione. Il successo è stato però effimero: è arrivato internet. Or dunque se l’informazione è oggi indispensabile, come strumento di conoscenza e di lavoro, essa deve essere corretta ed esatta. Ecco l’importanza della gestione e del controllo delle informazioni che comporta, sempre, una scelta delle informazioni. In altre parole un fatto diventa evento, meritevole di essere raccontato se, quell’evento, può interessare il destinatario. In altre parole un accadimento diventa notizia se si pensa che esso possa soddisfare i bisogni dell’informazione che il lettore richiede. Ed ecco che ricompare il problema della correttezza dell’informazione la quale è indubbiamente assicurata da una selezione delle stesse informazioni e da un controllo sulla loro esattezza. In un quadro del genere un agenzia seria di giornalisti deve ignorare le fonti anonime perché l’etica del giornalismo è l’etica del giornalista, vale a dire appartiene alla sua coscienza morale, come cittadino e come professionista. Ma non solo! Il giornalista deve, nell’esercizio della sua attività professionale, attenersi, con rigore, al rispetto dei codici e della legislazione; al rispetto della verità sostanziale. Ed allora accanto ad una “formazione” etica vi deve essere, necessariamente, una “informazione” etica. In altre parole il giornalista deve avere una buona conoscenza del codice penale, della legislazione sulla stampa e dei codici deontologici,  ad es. la “Carta di Treviso”, documento per la salvaguardia dei minori; la “Carta dei doveri”, sulla non discriminazione di razza, di religione, di sesso, di opinioni e tanti altri protocolli d’intesa sottoscritti. In quest’ottica l'etica dei media va dai problemi etici nella carta stampata fino ai problemi che affliggono la società dell'informazione. Abbiamo, quindi, un problema di etica della televisione, del web, dei libri, del sistema radiotelevisivo. Ed allora necessita che lo schermo normativo esistente venga rispettato, dal giornalista, in ogni sua parte.
Ci riferiamo a quell’assetto di norme che nasce dal connubio tra Costituzione e norme deontologiche professionali e da cui si ricavano dei basilari principi come la libertà di informazione e di critica, che sono “diritti insopprimibili”  dei giornalisti i quali mai devono offendere l’onore ed il decoro di alcuno,  altrimenti incorrono, oltre che nei vari illeciti, anche nel reato di diffamazione.
Altra norma di comportamento importante che merita di essere evidenziata è quella che vieta al giornalista di “pubblicare immagini o foto raccapriccianti di persone coinvolti in fatti di cronaca o comunque lesive della dignità della persona”. Il problema non è facile perché vi sono casi in cui l’immagine ha un valore informativo, essendo l’unica fonte della notizia. Un esempio? Le torture nel carcere irakeno di “Abu Graib”. Ed allora la collettività, senza quelle foto, avrebbe potuto acquisire la notizia e verificarne l’attendibilità? La risposta è che le immagini raccapriccianti hanno, in alcuni casi, un valore informativo perché sono il contenitore di una notizia, non altrimenti acquisibile dai lettori. Ed allora l’immagine raccapricciante può essere pubblicata solo quando la sua diffusione soddisfa una reale esigenza informativa. Vale a dire quando è il contenitore di una notizia che non può essere divulgabile in altro modo, sempre nel rispetto del requisito della verità. In conclusione bisogna farlo con etica e parlare di etica,  significa parlare di correttezza dell’informazione e significa parlare di un giornalismo serio e corretto “.
avv. Raffaele Gaetano Crisileo




mercoledì 12 novembre 2014

CONVEGNO SU ETICA ED INFORMAZIONE : RELAZIONE AI GIORNALISTI PROFESSIONISTI.

“Etica, web ed informazione» è questo il tema del convegno organizzato dall' “Associazione Giornalisti di Terra di Lavoro “ della Campania per studiare l’evoluzione dei mezzi di informazione e mettere a confronto gli operatori del settore. Il convegno si terrà  venerdì 14 novembre p.v.   dalle ore 16.00 in poi presso la Sala Conferenze del Museo Archeologico “Teanum Sidicinum” in Teano con accesso da Piazza Umberto I.
L’evento consentirà di analizzare le difficoltà di un periodo storico durante il quale contemporaneamente giornalisti e blogger, giornali di carta e informazione sui social network, raccolgono e diffondono notizie.
Una complessità che va analizzata per rendere un corretto servizio e raccontare i fatti, sempre con precisione, nonostante la rapidità con cui si veicola oggi l’informazione.
Partendo dall'esperienza dei protagonisti dell'informazione, dai media tradizionali al web, senza dimenticare che non solo i giornalisti di professione, ma anche gli altri attori del processo mediatico contribuiscono a dettare le regole e a diventare terminali influenti e indispensabili del sistema mediatico.
«Etica, web e informazione” è uno degli appuntamenti fondamentali nel Piano di Formazione dei giornalisti 2014-2016 organizzato dall' Associazione in collaborazione con Università, magistratura e altre associazioni di giornalisti.
Partendo dall’analisi del cambiamento della comunicazione, tra passato e futuro, dell'innovazione introdotta dal web, si approfondiranno le questioni "deontologia, etica professionale e social media". Dopo il saluto delle Autorità presenti, terrà una relazione sul tema l’avvocato penalista sammaritano Raffaele Gaetano Crisileo, che tratterà il tema centrale del convegno “ Etica ed Informazione”.

Interverrà anche il prof. Emilio Tucci, docente di informatica del diritto alla SUN e tratterà il tema : “Riservatezza ed identità personale : diritti minacciati dal web 2.0”.

Articolo tratto dal sito on line casertace.net

sabato 25 ottobre 2014

LA CONDANNA A MORTE CONTRO ASIA BIBI E’ CONTRARIA AI PRINCIPI UMANITARI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. Considerazioni dell’avv. Raffaele Gaetano Crisileo

L’Alta Corte di Lahore, il 6 ottobre u.s., ha confermato la condanna a morte di Asia Bibi, la cristiana pakistana di quarantanove anni condannata alla pena capitale nel 2010 e, in carcere, da più di cinque anni con l’accusa di “blasfemia”, la quale ha fermamente rifiutato di convertirsi all’islam.
La speranza ora è appesa alla Corte Suprema che, se rigetterà il ricorso di Asia, la donna cristiana verrà lapidata (come accadde a Santo Stefano, nel primo secolo dell’era cristiana, che non volle rinnegare il Cristo).
Il caso di Asia, in Pakistan, non è isolato, ma i cristiani, detenuti con l’accusa di “blasfemia” nelle prigioni di quel Paese, sono numerosissimi.
La locale Commissione per i diritti dell’uomo incessantemente ha ingaggiato una battaglia contro la legge anti-blasfemia.
I giudici dell’Alta Corte di Lahore, in grado di appello, hanno ritenuto credibili le accuse di due donne musulmane che hanno testimoniato contro Asia, accusandola di “blasfemia” contro l’islam.
La donna pakistana, di fede cattolica, sposata e madre di cinque figli, il 14 giugno  2009, mentre era intenta a lavorare la terra, andò a prendere dell’acqua da un pozzo e poi la offrì alle sue compagne che erano con lei, ma venne accusata di avere infettato la fonte, in quanto lei, essendo cristiana, era un’infedele.
Asia Bibi ha sempre respinto quell’accusa e si è rifiutata di convertirsi all’islam, sostenendo fermamente la sua fede in Dio.
Accusata di “blasfemia”, alcuni giorni dopo, questa accusa, venne formalizzata dal mullah musulmano agli organi di polizia.
Per la cronaca, la cd. “legge nera” venne introdotta nel codice penale pakistano nel 1976 e confermate nel 1982 e nel 1986 e  le pene per chi offende l’islam prevedono l’ergastolo e la condanna a morte.
Non c’è scampo per chi viene accusato di blasfemia: molti cristiani sono stati uccisi mentre entravano in tribunale per il processo, perché, secondo  i gruppi fanatici islamici, la giustizia umana è inferiore a  quella divina. Questo è il motivo per cui sempre più spesso gli imputati non assistono ai dibattimenti in aula e, anche se assolti, sono costretti a lasciare il paese per sempre.
La condanna a morte di Asia Bibi, come ha dichiarato il Vescovo di Pune, mons. Thomas Dabre, che ha chiesto l’intervento e l’aiuto della Comunità internazionale, è uno sfregio contro la dignità umana.
Ma, secondo noi, vi è di più !
Sotto un profilo di diritto internazionale le leggi sulla “blasfemia” sono decisamente  "contrarie allo spirito dei diritti umani", perché tutti devono poter seguire liberamente la propria religione e devono avere la libertà di culto.
Secondo noi è urgente modificare le leggi sulla “basfemia” soprattutto in Pakistan,  stato a maggioranza musulmana, dove i cristiani sono una piccola  minoranza.
Quel governo deve fare decisamente molta attenzione ad applicare provvedimenti del genere e la comunità internazionale deve movimentarsi al più presto in favore di Asia Bibi.
In tale quadro ci auguriamo che gli Organismi internazionali e la Santa Sede intervengano affinchè sia concessa la grazia ad Asia e, nello stesso tempo, leggi del genere sulla “blasfemia”, decisamente draconiane, che tradiscono l’ affermazione dei diritti umani, vengano al più presto abolite.
Siamo nel duemila ed abbiamo imparato tante cose, come la libertà di culto, il diritto alla vita, la libertà di espressione; conquiste, queste, per noi  irrinunciabili e sinonimo di libertà.
Purtroppo la storia umana non ci finisce mai di stupire ed il caso di Asia Bibi (a favore della cui causa di libertà sono state raccolte ben quattrocentomila firme!!! ) ci dimostra che quando la mente ed i cuori degli uomini diventano ciechi, l’uomo è “lupo all’altro uomo”, per usare una frase del filosofo Tommaso Hobbes, ed è possibile uccidere con crudeltà.
Ciò non deve avvenire perché i valori umani deve predominare su tutto e tutti !
Non parlo solo da cristiano, ma anche da giurista libero ed amante dei valori improntati all’insegna della libertà e della dignità della persona umana che merita rispetto assoluto.


domenica 28 settembre 2014

IL SISTEMA CARCERARIO SVEDESE : UN ESEMPIO DA OSSERVARE.

Mentre nel nostro Paese le carceri scoppiano ed i diritti dei detenuti sono duramente messi alla prova per mancanza di spazio nelle carceri, la Svezia, da vari decenni, ha adottato un sistema punitivo, riducendo al massimo la pena detentiva ed ampliando le forme alternative. “ Entrando in una prigione svedese potreste anche non accorgervi di essere in un istituto di pena. Specie nelle fasi avanzate della detenzione vedrete detenuti che escono per recarsi a lavoro o per studiare, indossando i propri vestiti. Alcune celle somigliano più a stanze di campus universitari con televisori a schermo piatto, cellulari e mini-frigo. Niente impenetrabili barriere, né condizioni punitive inflitte al solo scopo di rispondere al bisogno di giustizia delle vittime. Non fosse per le sbarre - ma anche quelle non sempre ci sono - sembrerebbe più la stanza di uno studente che una cella vuota “. In tale contesto, il legislatore svedese, contrariamente al nostro, ha privilegiato le forme di pene alternative alla detenzione, ritenendo il carcere l’ultima spiaggia e la estrema ratio. In buona sostanza il trattamento della pena, nell’ordinamento svedese, è progressivo e, quindi, man mano essa va a scomparire, soprattutto quando il detenuto dimostra, in modo chiaro ed inequivocabile, di avere la volontà di inserirsi nel tessuto sociale. In Svezia vi sono istituti carcerari chiusi ed istituti aperti. In quelli aperti manca una legge autoritaria e viene lasciato ampio spazio di libertà per recuperare il cittadino condannato. Abbiamo detto che il sistema punitivo svedese è progressivo e pensate che sono addirittura gli stessi carcerati che controllano, durante la notte, se tutto procede secondo regolamento, mentre il personale dell’istituto arriva al mattino per il proprio lavoro. In altri istituti, completamente aperti, i detenuti lavorano in libertà e trascorrono all’interno solo il tempo libero e la notte, mentre per il week end si recano a casa dalle proprie famiglie. Ovviamente è il Giudice che stabilisce dove un detenuto deve essere ospitato. In buona sostanza se la condanna supera i tre mesi di carcere, almeno la prima parte di essa viene espiata in un istituto chiuso. Successivamente, quando il detenuto dimostra di avere  un comportamento responsabile viene spostato in una struttura aperta. In definitivo il trattamento rieducativo viene effettuato sulla base dei risultati raggiunti. Pensate che in Svezia è previsto un istituto carcerario ogni cinquanta detenuti ed un personale, nell’istituto stesso, con un rapporto di 2 a 1:  per ogni due detenuti, vi è un operatore. Il detenuto, nel tempo libero, insieme al trattamento di reinserimento, svolge un lavoro retribuito. E, alla fine,  abbiamo quasi un sogno  che in Svezia si realizza : quando il detenuto ha finito di espiare la pena viene affidato ai sindacati che lo aiutano ad inserirlo nel mondo del lavoro.  Ecco perché il termine evasione, in Svezia, è desueto e il sistema scandinavo, in tema di statistiche, non supera il 20%  di reclusi che hanno tentato  di evadere da un istituto di pena.  Non ci permettiamo di fare il raffronto con i nostri dati o addirittura con quelli di tentato suicidio o di suicidio dovuto al malessere dei detenuti nelle carceri italiane che soffrono per tanti motivi, ma anche per il problema del  sovraffollamento nelle celle. Non c’è stato nessun bisogno di indulto In Svezia, né di misure d’emergenza per sfoltire i detenuti. Mentre l’Italia, su tale problematica, è in stato di forte impasse per l’affollamento in cella, la Svezia attua una politica di  recupero e di reinserimento sociale. La giustizia svedese invia sempre meno persone in galera, nonostante la criminalita' sia piuttosto in aumento, concentrandosi essenzialmente sul braccialetto elettronico e la liberta' vigilata.
“Ecco perché, secondo noi, l’Italia dovrebbe emulare la Svezia dove il motto del sistema carcerario scandinavo – leggevo su’autorevole rivista - è da circa cinquanta anni “non gestiamo delle punizioni”: concetto difficilmente importabile nel nostro sistema  dove vi è ancora l’amministrazione penitenziaria”. Da ultimo dobbiamo segnalare che la Svezia ha lentamente smesso di spendere denaro  nell’edilizia carceraria, investendoli in progetti di recupero dove quel governo, per fini educativi, ha inserito tanta gente che ha sbagliato. “ Del resto – si chiedeva l’autore di quell’articolo di cui purtroppo non ricordo il nome -  che senso riparatorio può mai avere per la società la reclusione d’uno spacciatore di droga o d’un rapinatore? “ Concetto, questo, che condividiamo in pieno. Quindi occorre, in definitiva, un sistema detentivo che si fondi essenzialmente sulla riabilitazione e sul reinserimento sociale. É il modello svedese che, numeri alla mano, dimostra che senza indulti o svuotacarceri si può risolvere il problema di reiterazione del reato, una volta che il detenuto si uscito dal carcere.  E’ quanto accade in Svezia, dove il numero dei detenuti diminuisce. Pensate che a novembre scorso la Svezia ha deciso di chiudere quattro istituti perché il numero dei carcerati è sceso dell’1 per cento annuo. Ed allora se la criminalità esiste, deve esistere non solo la certezza della pena, ma anche il reinserimento del carcerato altrimenti il problema carcere si ripeterà all’infinito. Gran parte –  come avviene in Svezia - dovranno fare anche le associazioni di volontariato, formate da ex-detenuti,  che devono mettere a disposizione un’efficace rete di supporto per chi entra o esce dal carcere, provvedendo non solo a una costante supervisione, ma garantendo programmi di trattamento. Ecco la ricetta vincente svedese. E perché non la adottiamo anche in Italia ?
Avv. Raffaele Gaetano Crisileo

lunedì 21 luglio 2014

L'OMICIDIO DI ENRICO DI MONACO E QUELLO DI MILENA SUTTER : DUE CASI GIUDIZIARI A CONFRONTO.

L’omicidio di Milena Sutter e quello di Enrico di Monaco sono due processi che si assomigliano:  due classici processi indiziari con delle caratteristiche simili strabilianti,come ha evidenziato, durante la sua requisitoria, il Procuratore Generale di Napoli, dott. Francesco Iacone, nel processo contro Salvatore Busico, accusato dell’omicidio di Enrico di Monaco. Per la cronaca è stato proprio il dott. Iacone il Procuratore Generale che, nel 1975, sostenne l’accusa pubblica dinanzi alla Corte di Assise di Appello di Genova contro Lorenzo Bozano, il biondino dalla spider rossa, anche lui, come Salvatore Busico, assolto in primo grado, nel 1973 e condannato all’ergastolo in secondo grado, nel 1975. 
Ma vediamo il perché le due vicende si rassomigliano e soprattutto il perché sono due processi indiziari classici. 
Enrico di Monaco, un ragazzo di appena diciassette anni, di Santa Maria Capua Vetere, scompare nella notte tra il 24 ed il 25 aprile 2005. L’indomani la mamma ne denunzia la scomparsa. Partono le indagini, disturbate da tentativi di depistaggi e, alla fine,  la storia ha un triste epilogo: Enrico viene ritrovato cadavere, con il volto trasfigurato, in stato di decomposizione, dopo ventitré giorni dalla scomparsa, il 18 maggio 2005,  in una masseria abbandonata di campagna, la masseria  Marzella, in Santa Maria La Fossa. Viene identificato per mezzo di un mazzo di chiavi che aveva con sé e che aprono casa sua. Ad avvertire la polizia del ritrovamento del corpo è un  agricoltore che riferisce di aver intravisto in quella casa  il corpo del ragazzo, con le gambe dritte in avanti, che  indossava un jeans e delle scarpe bicolore. 
Intanto gli inquirenti si concentrano su Salvatore Busico, un contadino quarantenne del luogo,  che, a quanto riferisce un teste oculare, aveva incontrato, dopo la mezzanotte, la vittima che era salito sulla sua auto, un’Alfa 33 e poi era scomparso. 
Ma vediamo perché questo omicidio ricorda quello di Milena Sutter. 
Milena Sutter, una ragazza di appena tredici anni, di Genova, scompare il 6 maggio 1971 verso le 17.30 circa, all’uscita della Scuola Svizzera genovese. Il suo corpo venne ritrovato, due settimane dopo, in mare, precisamente il 20 maggio 1971 con addosso sei piombi da un chilo l'uno parte di una tuta da sub.
Appena visto il cadavere, due pescatori chiamarono i vigili del fuoco che recuperarono la salma. Il volto era irriconoscibile ed il corpo scarnifìcato. Milena indossava  la camicetta a fiori, il maglione giallo e la blusa blu che aveva il giorno della scomparsa. Il corpo venne riconosciuto grazie a una medaglietta con inciso il suo nome (regalatale dalla madre alcuni anni prima) e grazie a  un braccialetto che portava ad un polso. La sera stessa, un venticinquenne del posto, Lorenzo Bozano, venne arrestato,  ritenuto il maggiore indiziato.
Secondo i medici legali che esaminarono il corpo, la ragazzina venne uccisa il giorno stesso della scomparsa, all'incirca tra le 18.00 e le 18.30. Il giorno successivo, alle 10.45 del mattino, la famiglia Sutter ricevette una chiamata anonima con una richiesta di un riscatto. Un chiaro tentativo di depistaggio. Poi più nulla,  fino al ritrovamento del cadavere.
Intanto gli inquirenti si concentrarono su Lorenzo Bozano, un venticinquenne genovese che venne arrestato il 20 maggio 1971. Egli aveva l'hobby di girare con la sua spider rossa ed aveva la  passione per le immersioni subacquee. Appena fermato, non riuscì a fornire un alibi che lo copriva  dalle 16.15 alle 19.45 e dopo le 22.00 del 6 maggio.
Alcune persone, sentite come testi, dichiararono di aver visto un "biondino" sostare nella zona in cui si trovava villa Sutter, seduto su una spider rossa ammaccata; altri testi, inoltre, dissero di aver visto la sua spider nei pressi della Scuola Svizzera, nei mesi precedenti all'omicidio. Una trentina di studenti riconobbero Bozano. Inoltre, altri testimoni riferirono che, nei giorni precedenti,  Bozano accennava all'idea di compiere un sequestro, ma egli affermò sempre che stava parlando del rapimento  Gadolla, avvenuto per mano di un gruppo terroristico dell’epoca.
Tantissimi indizi contro Lorenzo Bozano e tantissimi indizi contro Salvatore Busico.
Bozano era un sub con la passione per il mare e attorno al corpo di Milena, quando il mare lo restituì alla terra, venne ritrovata una cintura da sub. Busico, dal canto suo, era un agricoltore ed anche un cacciatore ed Enrico venne ucciso con un fucile da caccia: due colpi sparati a ripetizione, in una masseria di campagna, buia ed abbandonata, in una zona dove Busico, come dimostrano delle intercettazioni in atti, voleva prendere in fitto un terreno, in epoca antecedente l’omicidio di Enrico. 
Milena Sutter, al pari di Enrico di Monaco, secondo i medici legali, venne uccisa poco dopo la sua scomparsa, circa un’ora dopo : centrale, in ambedue i casi, il cibo ritrovato nello stomaco delle due vittime; secondo i medici legali è quello che avevano mangiato poco prima di essere stati uccisi.
E non solo ! Testi oculari avevano visto Bozano aggirarsi, con la sua spider rossa, intorno alla Scuola Svizzera, pochi giorni prima dell’omicidio di Milena; allo stesso modo testi oculari avevano visto Busico incontrarsi e frequentarsi con Enrico di Monaco. Sia Bozano che Busico hanno negato queste importanti circostanze di fatto ! 
Due alibi falliti, rispettivamente quello di Bozano e quello di Busico, per gli incolmabili vuoti presenti nel loro narrato.
In ambedue i casi la presenza di un movente : per Bozano la sua ossessione per Milena Sutter e per Busico la sua rabbia covata, poi esplosa, contro Enrico di Monaco che lo ricattava per l’incendio di un auto eseguito su sua commissione in cambio di denaro, come avevano riferito dei testi oculari che avevano visto  Busico dare del denaro ad Enrico e raccogliere le confidenze del giovane.
Ambedue gli imputati hanno clamorosamente mentito durante il loro interrogatorio: Bozano negò di conoscere la Scuola Svizzera dove Milena studiava e, dal canto suo, Busico negò di frequentare Enrico perché si dedicava a cose illecite. E, poi, il colpo di scena : durante l’interrogatorio,  Bozano inavvertitamente tirò fuori dalla tasca una scatola di fiammiferi con scritto il numero di telefono della Scuola Svizzera. Allo stesso modo Busico è stato smentito da testi oculari che hanno riferito particolari inquietanti sulla sua frequentazione con Enrico di Monaco.
E vi è di più ! Milena Sutter, quando venne ritrovato il suo corpo senza vita, indossava gli stessi abiti che aveva al momento della scomparsa; così anche Enrico di Monaco, all’atto del ritrovamento del suo corpo, indossava, guardate caso, gli stessi abiti di quella notte,  quando salì sull’auto di Busico,  dopo che si era cambiato di vestiti ed aveva indossato abiti di poco valore, perché, verosimilmente, sapeva di andare in quella masseria di campagna che conosceva sia Busico che lui e dove, verosimilmente, era già andato in precedenza forse non solo con Busico, ma anche con gli operai albanesi di costui.
Ma a carico di Busico  vi è anche un’intercettazione ambientale emersa, in modo chiaro, da una nuova perizia disposta dalla Corte di Assise di Appello  contenente due frasi emblematiche : “ Dovevo sparare io là …Ta ta ta ta… Oh! Mi stai uccidendo … “.
Questi, fra i tantissimi, elementi in comune intercorrenti tra i due omicidi e che sono stati trattati dallo stesso Procuratore Generale, il dott. Francesco Iacone, a distanza di cinquantanni l’uno dall’altro e che, in quello a carico di Busico, io ho avuto l’onere di affiancare, quale difensore della parte civile.   

                                                                                                       avv. Raffaele Gaetano Crisileo, penalista  

domenica 20 aprile 2014

" SULLA SCENA DEL DELITTO ", TRA LE PAGINE DEL LIBRO DELL 'AVV, CRISILEO

Sulla Scena del Delitto tra le pagine di Crisileo
Recensione, tratta da “Il Mattino”, del 20.04.2014 a firma di Elio Zanni 
“Signor Presidente, Signori della Corte di Appello, chiediamo la conferma della sentenza di primo grado che ha saputo cogliere nel segno la verità processuale e la storica, e perciò chiediamo il rigetto dei motivi dell’appello proposti dalla difesa dell’imputato”. Dai delitti Sellitto e Marino, passando per i casi Di Monaco e Tedesco: è una vera e propria selezione di momenti di tribunale, di fatti di cronaca nera evoluti in tenzoni giudiziarie “Sulla scena del delitto”: l’ultimo libro di Raffaele Gaetano Crisileo, criminologo, avvocato penalista del Foro di Santa Maria Capua Vetere. Una selezione d’interventi, anzi di arringhe, come egli stesso ama definire quei momenti salienti a cui conduce la “ missione forense”. Meno di 200 pagine da leggere tutte d’un fiato, gustata la prefazione di Paolo Brosio che svela anzitempo l’istinto etico che l’autore possiede e propone, in ogni arringa, mettendo in luce i retroscena degli efferati delitti consumati in certi ambienti ovattati di periferia, che spesso soffocano l’uomo e alimentano la bestia.  Crisileo invita a spogliarsi dei panni del buon borghese e guardare i fatti ed i loro protagonisti con pietas umana, Cosa che ogni legale può fare solo a valle di un certosino lavoro dei profili criminali. Lavoro che dovrà distendere con buona comunicativa su un tappeto di verità processuale”.  Elio Zanni

                                                                        Riproduzione Riservata



martedì 15 aprile 2014

IL NUOVO DISEGNO DI LEGGE SULLA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE.

Il Senato, nei giorni scorsi, ha dato il via libera al provvedimento di riforma della custodia cautelare. Per diventare legge dello Stato, il testo, ora, dovrà tornare alla Camera.
Le novità riguardano i termini di custodia cautelare e le modalità per l’adozione del provvedimento cautelare che verrà applicato solo in caso di concreto e attuale pericolo di reiterazione, inquinamento delle prove o di pericolo di fuga.
Dunque si ricorrerà alla custodia cautelare, in via del tutto eccezionale, tranne nei casi di reati di particolare allarme sociale, come terrorismo e mafia.
Il nuovo istituto della custodia cautelare in carcere verrà così riformulato: “Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale è applicata la custodia cautelare in carcere … Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari”.
In buona sostanza, la custodia cautelare in carcere diventerà misura  residuale, al fine di ridurre la pericolosità dell’indagato, in relazione alla sua eventuale fuga o intralcio al corso della giustizia.
Il testo, almeno nella sua ratio, è finalizzato a ridurre l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere ed a ridurre il sovraffollamento della popolazione carceraria, attraverso una serie di modifiche al codice di procedura penale che interessano principalmente la valutazione e la motivazione del giudice e l’idoneità della custodia in carcere.
Ma solo nel tempo, quando la nuova norma verrà applicata, si vedrà se la finalità del legislatore sarà stata  raggiunta.
Ritornando all’analisi del provvedimento, salta subito agli occhi che esso  limita la discrezionalità del giudice nella valutazione dei presupposti per l’applicazione delle esigenze cautelari.
Innanzitutto è stato introdotto il criterio dell'attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato che non può più essere desunto dalla sola gravità del reato per cui si procede.
Ciò, invero, non è propriamente innovativo perché la Cassazione, da tempo, aveva stabilito, con molte pronunce sul punto, che la sola gravità del reato era insufficiente a ritenere sussistenti le esigenze di cautela.
Novità assoluta, invece, è l’esclusione della custodia in carcere e degli arresti domiciliari in due ben specifiche circostanze : quando il giudice ritenga che la eventuale sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere (concessione della condizionale); quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, sia possibile sospendere l'esecuzione della pena con concessione di una misura alternativa.
Quando invece si ipotizza un  aggravamento delle esigenze cautelari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può anche applicare, congiuntamente,  altra misura coercitiva o interdittiva (attualmente il giudice, invece,  può solo sostituire la misura in corso con altra più afflittiva oppure  può applicare la prima con modalità più gravi).
Sono soppresse finalmente alcune disposizioni che favoriscono il ricorso alla custodia in carcere. Ci riferiamo all’obbligo per il giudice di revocare gli arresti domiciliari e applicare la custodia in carcere in caso di trasgressione del divieto di allontanarsi dalla propria abitazione; ci riferiamo al divieto, per il giudice, di concedere gli arresti domiciliari al condannato per evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede.
E’ stato, poi, ampliato (da due a dodici mesi) il termine di efficacia delle misure interdittive (sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori; dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio; divieto temporaneo di esercitare attività o professionali).
Quanto all’applicazione della custodia in carcere,  novità importante è che la sua presunzione di idoneità opera soltanto ed esclusivamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione sovversiva, terroristica e mafiosa.
Per altri reati gravi, tra cui l’omicidio, la violenza sessuale ecc …  è vero che è possibile applicare la custodia in carcere, ma salvo che siano acquisiti elementi dai quali non sussistono esigenze cautelari che  possano essere soddisfatte con altre misure.
E non solo ! Nel disporre la custodia cautelare in carcere, il giudice ha l’obbligo di motivare sufficientemente il perché ritiene che l’ uso del cd. braccialetto elettronico non sia idoneo a tutelare le esigenze di cautela.
E’ stato, parimenti, rafforzato l’ obbligo di motivazione  autonoma da parte del giudice in merito alla ricorrenza delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cautela non possono essere soddisfatte con altre misure
La mancanza di "autonoma valutazione" da parte del giudice è motivo di annullamento dell'ordinanza cautelare in sede di riesame.
Infine è stato modificato anche il procedimento di riesame presso il tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva.
L'udienza camerale, se ricorrono giustificati motivi, può essere rinviata, dal tribunale, per un minimo di cinque ed un massimo di dieci giorni. Stesso discorso per il deposito della motivazione sulla decisione  sull'ordinanza del riesame.
Al mancato deposito in cancelleria, entro trenta giorni dalla deliberazione, dell'ordinanza del tribunale del riesame consegue la perdita di efficacia dell'ordinanza che dispone la misura coercitiva.
Diventa, poi, possibile differire, per giustificati motivi, la data dell'udienza camerale del tribunale in sede di riesame delle ordinanze relative a misure cautelari reali (sequestro conservativo o preventivo).
Circa l'appello avverso le ordinanze che dispongono misure cautelari personali, viene precisato che la decisione sull'appello del tribunale del riesame (entro venti giorni dalla ricezione degli atti) sia assunta con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla deliberazione.
Dopo l'annullamento con rinvio di un'ordinanza che ha disposto una misura coercitiva, il giudice del rinvio decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e deposita in cancelleria l'ordinanza nei trenta giorni dalla deliberazione. La mancata decisione nei termini stabiliti comporta la perdita di efficacia della misura coercitiva.
Il provvedimento ha subito alcune modifiche in Commissione Giustizia del Senato :
·         è reintrodotta la possibilità (soppressa dalla Camera) che, nel corso delle indagini preliminari, il riferimento a specifici comportamenti dell'indagato (es. rifiuto di rendere dichiarazioni, mancata ammissione degli addebiti, personalità desunta dai comportamenti) possa giustificare le esigenze cautelari;
·         si è operata un'ulteriore modifica: la custodia cautelare in carcere può essere applicata solo per i reati per i quali è previsto un massimo di pena superiore ai cinque anni;
·         è stata reintrodotta la norma che prevede, nel caso di trasgressione agli obblighi derivanti dagli arresti domiciliari, l'automaticità dell'emissione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere. Si è, tuttavia, mitigata l'automaticità dell'ingresso in carcere, consentendo al giudice una valutazione circa la lieve entità del fatto;
·         è stata modificata la disciplina del riesame delle misure cautelari ed i termini da ordinatori diventano perentori; dunque ad una violazione dei termini, consegue la perdita di efficacia della misura cautelare;
·         in caso di perdita di efficacia, l'ordinanza cautelare non può essere rinnovata, tranne che non vi siano eccezionali esigenze cautelari.

Questi, per grossi linee, le novità della riforma che, per valutare i suoi effetti, una volta approvata, occorre valutarla sotto un profilo pratico, in punto di attuazione e di esecuzione. 

martedì 8 aprile 2014

PAOLO BROSIO FIRMA LA PREFAZIONE AL LIBRO :“SULLA SCENA DEL DELITTO. ARRINGHE E RICORDI” DI R.G.CRISILEO

A voi cari lettori che state per aprire e leggere questo libro,  e' doveroso da parte mia,  raccontarvi un po' di cose sullo scrittore e su questo libro,  per introdurvi in questo mondo della cronaca nera.
Posso ben parlarvene poiché ho conosciuto l'avvocato Crisileo e ben conosco la cronaca giudiziaria per aver fatto per vent'anni il giornalista dei palazzi di giustizia e dei delitti più efferati.
Raffaele Gaetano Crisileo e' venuto con me in pellegrinaggio a Medugorije dimostrando una grande sensibilità ad aiutare la mia associazione onlus Olimpiadi del Cuore,  che si occupa di infanzia e anziani abbandonati. Egli è uomo di grande cuore e sensibilità sociale e ha manifestato, più volte,  un notevole attaccamento ai valori cristiani. Queste considerazioni avvalorano ancora di più la sua etica professionale che ogni giorno da più di trent'anni viene messa a dura prova nelle aule dei tribunali al fine di contribuire ad una giustizia che sia equilibrata nel duello fra accusa e difesa e l'altro ancor più difficile fra bene e male. Io ben so che svolgere oggi la professione di avvocato e'molto difficile  essendo laureato in giurisprudenza alla facoltà della Sapienza di Pisa. In questi quattro casi da lui descritti di omicidio e conclusi al vaglio della Corte d'Assise,  si assapora il gusto del giallo, dell'intrigo delle miserie umane sempre però con un taglio appassionato per la difesa dei valori umani e cristiani. Insomma un sapiente mix di cronaca nera, sullo sfondo di una salvaguardia di rispetto dei diritti civili ed etici. Cari lettori per la deferenza che ho per chi prende in mano un libro,  vi consiglio la lettura ed auguro al mio caro amico avvocato Crisileo ancora tante soddisfazioni nelle aule di giustizia, ma soprattutto di conservare ben stretto al suo cuore quell'intimo rapporto con la Fede e l'Amore per gli insegnamenti semplici ed umili di Maria Santissima,  con la quale,  solo con essi,  si amano e si apprezzano sempre di più le parole e la vita di Gesù Cristo.
Forte dei Marmi (Lucca), 6 febbraio 2014 
                                                                                                                Paolo Brosio






L’ORATORIA FORENSE : RELAZIONE ED OSSERVAZIONI.

SINTESI DELLA RELAZIONE,  TENUTA IL 3 APRILE 2014,  DALL’ AVV. CRISILEO,  PRESSO IL TEATRO GARIBALDI DI SANTA MARIA CAPUA VETERE (CASERTA)  IN OCCASIONE DEL SEMINARIO DI STUDI:  “ ELOQUENZA, PERSUASIONE E COMUNICAZIONE “ E DELLA PRESENTAZIONE DEL SUO LIBRO “ SULLA SCENA DEL DELITTO. ARRINGHE E RICORDI”.


Nel raccogliere l’invito per parlare di oratoria forense, cercherò di portarvi all’interno di una sofferenza, che è quella di tutti gli avvocati penalisti che, secondo me, sono dei veri psichiatri e psicologi. Dico questo perché il penalista è una persona che lavora con la propria mente e sulla mente del proprio interlocutore. Allora  vorrei cercare di capire come è possibile con la propria mente, capire la mente dell’altro. Ciò, non attraverso formule magiche, ma attraverso moduli quali  l’eloquenza (l’arte oratoria di un tempo, apportatrice di  intelligenza emotiva. rivista in chiave moderna e tecnica);  la persuasione e, da ultimo, la comunicazione cioè  il saper parlare in pubblico. Sono questi i tre temi del seminario di studio di oggi ed i tre sostantivi che il penalista deve sempre declinare nel corso della sua attività professionale. Il processo penale, da duemila anni, è caratterizzato da oralità, immediatezza e pubblicità e presenta tante variabili che richiedono decisioni immediate. Quindi la improvvisazione è una prerogativa del penalista che deve essere portatore di un forte convincimento delle sue tesi. Per esercitare bene la sua professione, egli deve possedere innanzitutto l’eloquenza, poi la padronanza di sé e una buona preparazione in materia. In buona sostanza gli avvocati  penalisti devono essere capaci di persuadere;  di stare in silenzio e di ascoltare. Questi principi di un tempo  sono validi anche oggi, perché il difensore è sempre lo stesso; il suo scopo è sempre il persuadere; il luogo è sempre il Tribunale;  lo strumento è sempre la parola. Quello che è cambiato, invece, sono i clienti che, grazie ad internet, sono diventati più acculturati. Oggi chi si rivolge ad un avvocato non solo cerca conoscenze legali, ma anche empatia e capacità di comunicare. In tema di comunicazione dobbiamo subito evidenziare che l’avvocatura penale necessita di una maggiore padronanza della comunicazione perché l’avvocato penale deve sostenere le ragioni della causa che patrocina,  con un discorso capace di persuadere il giudice. Ed allora, prima di tutto, gli avvocati si formano con l’eloquenza, perché solo l’arte oratoria può dare loro una adeguata proprietà di linguaggio. Quindi l’oratoria è utile,  non solo per i giudizi e per i processi, ma anche nelle relazioni interpersonali professionali, quando  si devono acquisire nuovi clienti,  perché apporta forza e sicurezza all’avvocato. Da una recente inchiesta è risultato che quasi il 90 % di persone, possibili clienti, considera, come primario criterio di scelta di un avvocato, il come il professionista si esprime. E che come si definisce e che ruolo ha la persuasione? Secondo Perloff, la persuasione : ” è un processo simbolico,  in cui i comunicatori cercano di convincere altre persone a cambiare i loro atteggiamenti,  in vista di un problema, attraverso la trasmissione di un messaggio, in un clima di libera scelta”. In quest’ottica, la persuasione è fatta non solo di parole ma anche di  immagini ecc... Per noi avvocati, la persuasione è l’obiettivo della nostra professione; quando essa si verifica, è un miracolo, che ci gratifica.  Rispetto al passato, si applica in modo diverso perché   viaggia in maniera più rapida e sottile. Non vi è dubbio che essere dei buoni persuasori è un arte. Non c'è un  metodo o una lingua già fatti da altri. Ognuno deve creare da sé  il metodo e la strada. La persuasione appartiene al mondo intellettuale, ma anche a quello  emotivo,  perché “ il cuore conosce le ragioni, che la ragione non conosce”, diceva un antico filosofo. Ogni argomentazione deve avere una forma di “simpatia” tra chi espone una tesi e chi la riceve. Quante emozioni vivono nell’animo di un  Giudice che possono facilitare o impedire la persuasione, ma la vera ragione del successo dell’avvocato penalista è l’eloquenza. Egli deve essere sensibile, attento,  con le  antenne dell’atmosfera dell’aula sempre alzate  sia che abbia scelto di difendersi provando sia che abbia scelto di difendersi, resistendo. Secondo Goleman : ” il successo dipende dall’intelligenza emotiva e non solo dagli studi accademici“. E’ vero ! Questa regola appartiene, in modo particolare,  al mondo dei penalisti. Un avvocato, il quale sa tutte le leggi, se non è in grado di comunicare con efficacia, è di certo limitato. L’avvocato penalista non solo deve essere in grado di ricondurre un fatto ad una norma giuridica, ma deve aggiornarsi, frequentare corsi,  mettersi in discussione a qualsiasi età. Insomma il penalista deve essere una persona convinta che non si finisca mai di imparare e che deve essere consapevole dei propri limiti. Una comunicazione verbale efficace  è un sicuro volano, per l’avvocato, per contrastare la tesi della Pubblica Accusa.  In definitiva la comunicazione verbale ha un  potere strabiliante; bisogna saperla usare, con criterio e metodo,  perché ci aiuta a raggiungere gli obiettivi, attraverso l’argomentazione e  la persuasione. Ed allora se è vero che l’energia vitale viene trasmessa attraverso il linguaggio, la gestualità, il tono della voce, lo sguardo, noi  penalisti dobbiamo tener ben presente questi elementi soprattutto quando teniamo  una discussione in un processo dove ci sono due momenti fondamentali : l’argomentare e l’intèlligere, cioè capire il punto decisivo della causa. Infatti, in tutte le cause vi è una questione decisiva che è il bersaglio cui  mirare. Individuato il  nodo della causa bisogna sviluppare gli argomenti e le ragioni da portare a sostegno della propria tesi, vincendo la cd. prova di resistenza. Dunque il vero strumento per difendere è l’argomentazione; è il ragionamento logico, attraverso l’analisi dei dati (le prove)  emersi nel processo. Solo, così, avviene il miracolo della persuasione. Ma l’argomentazione richiede soprattutto una conoscenza che si acquisisce attraverso lo studio di tutte le vicende, anche le più marginali, che possono aiutarci a ricostruire un fatto umano. Poi è necessaria anche una conoscenza giuridica. E non solo,  perché  se si parla, diceva Von Goethe, senza una profonda partecipazione d’amore, quel che si dice, non merita di essere riferito. Quindi la discussione, in un processo,  deve essere fatta, da un lato con partecipazione ed amore e, da un altro lato,  rispettando i principi (ciceroniani)  della limpidezza nell’esposizione, per illuminare gli ascoltatori, del vigore nell’eloquio,  per muovere la loro affettività. Sarai un oratore mediocre – diceva  Fenelon -  se non ti farai pervadere dai sentimenti che vorrai descrivere. E,  per gettarsi nell’avventura della parola  - scriveva  Padre Thaellier de Poncheville – bisogna dimenticarsi che si sta parlando e, addirittura, dimenticare chi si è. E, poi, l’argomento dell’avvocato richiede un lavoro di “inventio”, cioè devono essere esposte le giustificazioni delle tesi prospettate,   in modo  che, alla fine, il Giudice abbia recepito la nostra idea. L’idea di cui parliamo,  è quella che, nel gergo forense, definiamo “ il colpo d’ala” che, a volte, riesce a risolvere una causa,  perché “ il colpo d’ala “ prima colpisce il cuore e, poi,  arriva al cervello del Giudice. In buona sostanza la comunicazione c’è soltanto quando l’avvocato riesce a tenere sveglia l’attenzione per tutta la discussione. Infatti Jean Guitton diceva : “ L’eloquenza consiste nel dire qualcosa a qualcuno …  non è un buon oratore chi non ha idee, ma solo parole”. In definitiva, il nostro pensiero è che il  discorso trasporta un messaggio che l’oratore deve esprimere con chiarezza, con concretezza, con convinzione, con eleganza e con tecnicismo. Per questo l’eloquenza è stata definita l’arte di dare efficacia alla verità. Quindi se mancano questi presupposti, allora non siamo capaci di comunicare veramente.  Nel tempo, l’arringa ha cambiato nome e contenuto; si chiama discussione ed è essenzialmente tecnica perché deve incentrarsi sulla valutazione della prova ed è un’ esposizione diversa da quella degli avvocati di un tempo, che iniziavano con l’ ”esordio” e chiudevano con una “perorazione”. In sintesi, oggi parliamo di una discussione asciutta che deve armonizzare eleganza, tecnica e comunicazione, nell’interpretare il fatto e nel ricondurlo ad un’ipotesi giuridica.