domenica 28 settembre 2014

IL SISTEMA CARCERARIO SVEDESE : UN ESEMPIO DA OSSERVARE.

Mentre nel nostro Paese le carceri scoppiano ed i diritti dei detenuti sono duramente messi alla prova per mancanza di spazio nelle carceri, la Svezia, da vari decenni, ha adottato un sistema punitivo, riducendo al massimo la pena detentiva ed ampliando le forme alternative. “ Entrando in una prigione svedese potreste anche non accorgervi di essere in un istituto di pena. Specie nelle fasi avanzate della detenzione vedrete detenuti che escono per recarsi a lavoro o per studiare, indossando i propri vestiti. Alcune celle somigliano più a stanze di campus universitari con televisori a schermo piatto, cellulari e mini-frigo. Niente impenetrabili barriere, né condizioni punitive inflitte al solo scopo di rispondere al bisogno di giustizia delle vittime. Non fosse per le sbarre - ma anche quelle non sempre ci sono - sembrerebbe più la stanza di uno studente che una cella vuota “. In tale contesto, il legislatore svedese, contrariamente al nostro, ha privilegiato le forme di pene alternative alla detenzione, ritenendo il carcere l’ultima spiaggia e la estrema ratio. In buona sostanza il trattamento della pena, nell’ordinamento svedese, è progressivo e, quindi, man mano essa va a scomparire, soprattutto quando il detenuto dimostra, in modo chiaro ed inequivocabile, di avere la volontà di inserirsi nel tessuto sociale. In Svezia vi sono istituti carcerari chiusi ed istituti aperti. In quelli aperti manca una legge autoritaria e viene lasciato ampio spazio di libertà per recuperare il cittadino condannato. Abbiamo detto che il sistema punitivo svedese è progressivo e pensate che sono addirittura gli stessi carcerati che controllano, durante la notte, se tutto procede secondo regolamento, mentre il personale dell’istituto arriva al mattino per il proprio lavoro. In altri istituti, completamente aperti, i detenuti lavorano in libertà e trascorrono all’interno solo il tempo libero e la notte, mentre per il week end si recano a casa dalle proprie famiglie. Ovviamente è il Giudice che stabilisce dove un detenuto deve essere ospitato. In buona sostanza se la condanna supera i tre mesi di carcere, almeno la prima parte di essa viene espiata in un istituto chiuso. Successivamente, quando il detenuto dimostra di avere  un comportamento responsabile viene spostato in una struttura aperta. In definitivo il trattamento rieducativo viene effettuato sulla base dei risultati raggiunti. Pensate che in Svezia è previsto un istituto carcerario ogni cinquanta detenuti ed un personale, nell’istituto stesso, con un rapporto di 2 a 1:  per ogni due detenuti, vi è un operatore. Il detenuto, nel tempo libero, insieme al trattamento di reinserimento, svolge un lavoro retribuito. E, alla fine,  abbiamo quasi un sogno  che in Svezia si realizza : quando il detenuto ha finito di espiare la pena viene affidato ai sindacati che lo aiutano ad inserirlo nel mondo del lavoro.  Ecco perché il termine evasione, in Svezia, è desueto e il sistema scandinavo, in tema di statistiche, non supera il 20%  di reclusi che hanno tentato  di evadere da un istituto di pena.  Non ci permettiamo di fare il raffronto con i nostri dati o addirittura con quelli di tentato suicidio o di suicidio dovuto al malessere dei detenuti nelle carceri italiane che soffrono per tanti motivi, ma anche per il problema del  sovraffollamento nelle celle. Non c’è stato nessun bisogno di indulto In Svezia, né di misure d’emergenza per sfoltire i detenuti. Mentre l’Italia, su tale problematica, è in stato di forte impasse per l’affollamento in cella, la Svezia attua una politica di  recupero e di reinserimento sociale. La giustizia svedese invia sempre meno persone in galera, nonostante la criminalita' sia piuttosto in aumento, concentrandosi essenzialmente sul braccialetto elettronico e la liberta' vigilata.
“Ecco perché, secondo noi, l’Italia dovrebbe emulare la Svezia dove il motto del sistema carcerario scandinavo – leggevo su’autorevole rivista - è da circa cinquanta anni “non gestiamo delle punizioni”: concetto difficilmente importabile nel nostro sistema  dove vi è ancora l’amministrazione penitenziaria”. Da ultimo dobbiamo segnalare che la Svezia ha lentamente smesso di spendere denaro  nell’edilizia carceraria, investendoli in progetti di recupero dove quel governo, per fini educativi, ha inserito tanta gente che ha sbagliato. “ Del resto – si chiedeva l’autore di quell’articolo di cui purtroppo non ricordo il nome -  che senso riparatorio può mai avere per la società la reclusione d’uno spacciatore di droga o d’un rapinatore? “ Concetto, questo, che condividiamo in pieno. Quindi occorre, in definitiva, un sistema detentivo che si fondi essenzialmente sulla riabilitazione e sul reinserimento sociale. É il modello svedese che, numeri alla mano, dimostra che senza indulti o svuotacarceri si può risolvere il problema di reiterazione del reato, una volta che il detenuto si uscito dal carcere.  E’ quanto accade in Svezia, dove il numero dei detenuti diminuisce. Pensate che a novembre scorso la Svezia ha deciso di chiudere quattro istituti perché il numero dei carcerati è sceso dell’1 per cento annuo. Ed allora se la criminalità esiste, deve esistere non solo la certezza della pena, ma anche il reinserimento del carcerato altrimenti il problema carcere si ripeterà all’infinito. Gran parte –  come avviene in Svezia - dovranno fare anche le associazioni di volontariato, formate da ex-detenuti,  che devono mettere a disposizione un’efficace rete di supporto per chi entra o esce dal carcere, provvedendo non solo a una costante supervisione, ma garantendo programmi di trattamento. Ecco la ricetta vincente svedese. E perché non la adottiamo anche in Italia ?
Avv. Raffaele Gaetano Crisileo