martedì 19 dicembre 2017

BIO TESTAMENTO : UNA LEGGE CONTRO IL PRINCIPIO DELLA SACRALITA’ DELLA VITA ?

La nuova norma che consente al malato terminale di rifiutare le cure è  legge dello Stato  (deve essere solo promulgata  dal Presidente  della Repubblica).
Il mondo cattolico in generale e l’Associazione dei Medici Cattolici, in particolare, annunciano una ferma «obiezione di coscienza». Anche i Vescovi esprimono dissenso. Ma perché ? Perchè la reputano  «inadatta ai sofferenti».
Prima  di dare una nostra opinione in merito, vediamo, in sintesi, che cosa contempla la nuova legge. Essa prevede che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se manca il consenso informato della persona interessata. Sembra che venga  «valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra il medico e il paziente, il cui atto fondante è il consenso informato» e «nella relazione di cura sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari». 
Per  i minori «il consenso è espresso dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenuto conto della volontà del minore».
Ogni «persona maggiorenne, capace di intendere e volere, poi, in previsione di una  eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso «disposizioni anticipate di trattamento» (Dat), esprimere le proprie preferenze sui trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali». Le Dat, sempre revocabili, sono vincolanti per il medico e devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. In caso di urgenza, «la revoca delle Dat può avvenire anche oralmente davanti ad almeno due testimoni».
In buona sostanza tra il medico ed il paziente «rispetto all’evolversi di una patologia invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere attuato un pianificazione delle cure che il medico deve rispettare se  il paziente incapace, in futuro, non sia nella condizione di esprimere il proprio consenso».
A far sì che si possa dare, in futuro, il consenso, o il rifiuto, a trattamenti sanitari e diagnostici  (qualora appunto si diventi incapace) è necessario aver avuto informazioni sui benefici e/o sui rischi delle cure e degli esami.  Ma cosa debbono ancora fare i medici? Essi devono rispettare il biotestamento e possono disattenderlo solo se non corrisponde più alle condizioni cliniche del paziente, ovvero se sopraggiungono terapie che danno al paziente concrete chances di miglioramento. 
Le nostre considerazioni al riguardo:  in buona sostanza questa legge, secondo noi,  se da un lato ribadisce, in un certo qual senso, il no all'accanimento terapeutico, dall’altro lato non tiene conto del principio della sacralità  della vita umana in quanto il testamento biologico, pur non essendo un atto obbligatorio, ma sempre revocabile non considera che l’autodeterminazione in tema di salute è fortemente condizionata dalla soglia personale di tollerabilità dell’umana sofferenza. E non vi è dubbio - lo sottolineamo - che la mente umana delle persone segnate dal dolore è una mente narcotizzata e dà vita ad ombre che  li portano ad optare, se esposti a malattie neurodegenerative, a demenze, oppure a stati di comprovata compromissione delle facoltà  cognitive,  per scelte finali drastiche in ordine alla propria esistenza; scelte che  possono essere in antitesi rispetto ai principi in cui essi hanno creduto per una vita intera. Ed allora ci dobbiamo chiedere : per quei sofferenti, non più in grado  di decidere sul proprio fine - vita, chi deciderà, al loro posto, quando sarà sopraggiunto il momento di decidere ? Sarà il medico a dover decidere in virtu’ delle Dat ? Una risposta fredda e da leguleio potrebbe essere che la legge appunto stabilisce questo. Ma non possiamo rispondere in modo cosi freddo. Molti hanno scritto, nei loro commenti, al riguardo, che una norma del genere rinsalderebbe una certa forma di alleanza tra medico e paziente, perché porterebbe chiarezza sul da farsi quando le chances  di guarigione per il paziente sono finite. Ci sia consentita una critica : Noi useremmo innanzitutto il condizionale e non il presente (seppur presente storico e diremmo ad esempio “ quando le chanches sarebbero finite “.
Ed è proprio questo, a nostro avviso, il punto sensibile e cruciale della tematica : stabilire il momento in cui queste chances di guarigione sono (rectius, per noi, “sarebbero”). Ed allora, a tal riguardo, ci dobbiamo chiedere : ciò  può essere stabilito in termini di assoluta certezza oppure resta in termini di mera probabilità ?  Questo è  l’ interrogativo-dilemma al quale non possiamo che rispondere in una sola maniera: la certezza scientifica sul punto non esiste, se non in casi eccezionali. Ma la nuova legge non fa una differenziazione tra un caso e l’altro (ad esempio non distingue un elettroencefalogramma piatto da sofferenze derivanti da patologie oncologiche e cosi via). Anche per questo non ci sentiamo  di condividere la ratio della norma  in questione non perché siamo a favore dell’accanimento terapeutico oppure perché ci allineiamo, sic ed simpliciter, ai principi cattolici, ma perché riteniamo che sia letteralmente impossibile stabilire quel limite cosi sottile “ tra quando le chances di vita ci siano ancora e quando dette chances non ci siano più. Ed allora non basta l’autonomia del medico che può fare obiezione di coscienza, ma occorre un esame di coscienza generale che non può  prescindere dal valore della sacralità  della vita.