La evoluzione della funzione della pena.
Nel corso del XVII e XVIII, con l’ avvento dell‘ illuminismo, la pena non viene più intesa come retribuzione, ma assume una funzione diversa; una funzione rieducativa
Di qui il contrasto tra il pensiero classico e quello positivo: la scuola classica vede la sanzione come retribuzione, la scuola positiva la vede come prevenzione speciale.
Nel tempo sorge per la giustizia la necessità di proporre un contesto di mediazione per un incontro tra autore e vittima nella prospettazione di una riparazione sociale del danno causato con il reato.
Alla fine del XIX secolo assistiamo : ad una lenta trasformazione del concetto di criminalità; ad un diverso modo di concepire la pena che diventa più flessibile, più umana; alla pena non più intesa come retribuzione, ma come rieducazione dei condannati; alla pena non più intesa come strumento giuridico per punire, ma come strumento per proteggere la società dai soggetti pericolosi ed, entualmente, curarli e reinserirli nella vita sociale; all’applicazione del metodo scientifico allo studio del crimine; al delitto non più considerato come il prodotto di una libera scelta individuale, ma come il risultato di una patologia o di un deficit biologico o sociale; alla prigione che diviene una sorta di laboratorio dove i soggetti sono esaminati in maniera scientifica.
Nella storia recente queste idee hanno trovato una parziale applicazione in alcuni provvedimenti.
Un esempio, in Italia, è stato il cd. sistema del doppio binario (adottato dagli anni ’30):
· da un lato le pene ( per i delitti : ergastolo, reclusione e multa );
· dall’altro lato le misure di sicurezza destinate ai soggetti ritenuti socialmente pericolosi (malati di mente, pluri-recidivi, delinquenti abituali).
Nel corso del novecento il modello rieducativo della pena diventa il punto centrale sul quale viene puntata l’attenzione.
Negli Stati Uniti, e nei principali paesi europei, vengono introdotti istituti particolari come la probation .
Il nuovo concetto di giustizia penale orientata alla riparazione ed alla mediazione.
Man mano si afferma : Una giustizia penale orientata alla riparazione e alla mediazione. La ricerca di pene migliori e alternative al carcere.
In altre parole ci si è avviati verso quel processo che Zagrebelsky ha definito diritto mite.
In questo contesto si pone attenzione : non solo alla sofferenza dell’autore del reato, ma anche ai danni sofferti dalla persona offesa ed alla riparazione da parte del reo.
La nascita della vittimologia.
La vittimologia studia la sfera bio-psico-sociale della vittima ed il rapporto che la vittima ha avuto con il proprio aggressore.
Essa studia, ancora :
ü il contesto ambientale (fisico e psicologico), in cui è avvenuto il fatto -reato;
ü la fenomenologia della vittima entro il quale è stata compiuta un’azione criminale;
ü nel caso di vittima sopravvissuta, studia le conseguenze fisiche (danni biologici), psicologiche (traumi a breve-medio-lungo termine), e sociali (reazioni del gruppo primario, come la famiglia, del gruppo secondario, come ad esempio gli amici, e delle agenzie di controllo, come le forze di polizia o i tribunali).
Gli scopi della vittimologia.
La vittimologia nasce come scienza autonoma all’interno della criminologia in generale.
In particolare :
- fino agli anni ’50 la criminologia aveva considerato la vittima in modo marginale, cioè in funzione dello studio del criminale;
- solo negli anni successivi la vittimologia ha raggiunto una sua autonomia.
Gli scopi della vittimologia sono : quelli diagnostici (lo studio della vittima può essere importante per la diagnosi della situazione e delle problematiche che emergono), quelli preventivi rispetto al reato; quelli riparativi in relazione al danno da riparare alla parte lesa.
Questo cambiamento, negli anni ’50, è avvenuto perché con la nascita della criminologia, si era centrata l’attenzione sull’autore del reato, e sulle sue motivazioni.
In altre parole si era trascurato l’aspetto della riparazione in quanto la pena era stata vista dalla Stato come retribuzione e dalla vittima come vendetta.
Quindi si è data sempre più maggiore attenzione alla vittima.
Pensate che nel codice arabo la pena di morte può essere sospesa dalla grazia dei familiari della persona o delle persone uccise.
Pensate che negli Stati Uniti possono partecipare all’esecuzione i familiari.
Per quanto riguarda la storia attuale, solamente nel 1985, a livello internazionale, si è affrontato il problema della vittima con la dichiarazione dell’ONU sui diritti della vittima.
Prima la vittima non veniva considerata in modo adeguato; il tutto era imperniato su un discorso repressivo, sempre incentrato sul reo.
Grazie alla vittimologia, le vittime del reato sono tornate, in questi anni, al centro dell’attenzione.
La mediazione penale ha consentito loro di “avere voce”.
Nella mediazione penale le parti di un reato gestiscono autonomamente, con il tramite di un mediatore (una persona terza, neutrale ) il conflitto e cercano di concordare una soluzione.
In questo modo alla vittima viene dato lo spazio per negoziare soluzioni, diverse da quelle della giustizia formale.
Con la mediazione penale (che non è stata ancora recepita del tutto nel nostro Paese) si cercano nuove risposte che non siano meramente retributive.
Questo nuovo modello di giustizia offre :
1. la possibilità al soggetto attivo del reato di riparare il danno causato alla vittima;
2. la possibilità al soggetto attivo di reintegrarsi nella comunità ricostituendo il legame spezzato con la commissione del reato;
3. la possibilità per la vittima di decidere le modalità del risarcimento.
In buona sostanza, con la mediazione, viene offerto un ruolo centrale al reo ed alla vittima; un ruolo operativo al mediatore.
La mediazione penale e le forme ed i luoghi della mediazione in Italia.
Oggi si sente parlare, sempre più spesso di mediazione, anche nel campo del diritto penale.
Abbiamo detto che il comportamento criminale è una sorta di conflitto tra il reo e la vittima .
In quest’ottica la c.d. mediazione tende ad una conciliazione tra reo e vittima; conciliazione che non esaurisce la sua funzione nel risarcimento del danno.
Con la mediazione : da un lato, si favorisce la riconciliazione morale dell’autore del reato con la persona offesa; dall’altro lato si favorisce la riparazione materiale del danno cagionato.
Ma come può essere il risarcimento ?
Il risarcimento può essere:
· economico ( è quello più facilmente da realizzare quando dal reato sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale);
· solo morale (consiste in un sorta di riabilitazione sociale con cui la vittima del reato può affrontare con serenità il fatto reato che ha subito).
Quando è che oggi si ricorre alla mediazione ?
La mediazione è idonea a risolvere piccole controversie. Per esempio per i procedimenti di competenza del giudice di pace. Ebbene quando ci sono condotte riparatorie, vi è l’estinzione del reato.
In quale area del settore penale si è diffusa, in Italia, la cd. mediazione ?
Nonostante la mediazione sia un fenomeno conosciuto da pochi anni, sta di fatto che essa si è diffusa prevalentemente nell’area del sistema penale minorile.
Noi parleremo della messa alla prova, la cd. probation.
Dove è che nasce la mediazione ?
La mediazione nasce negli Stati Uniti intorno agli anni '70 e si presenta come un fenomeno capace di svilupparsi in differenti ambiti.
In vari paesi europei (Francia, Inghilterra, Austria, Germania) essa è già operativa da diversi anni.
Quindi che cosa è la mediazione ?
E’ un fenomeno che investe molti ambiti del sociale ( ad es. quello familiare).
La definizione più nota è quella del sociologo francese Bonafé-Schmitt il quale parla di mediazione come di “ un processo, con il quale un terzo neutro tenta, mediante scambi fra le parti, di permettere loro di confrontarsi e di cercare una soluzione al conflitto”.
Quando è che si parla di mediazione ?
Si parla di mediazione quando un terzo, neutrale, il cd. mediatore:
1. aiuta due o più soggetti a capire l’origine del conflitto sorto tra loro che, poi, nell’ambito penale è sfociato in un fatto – reato ;
2. a confrontare i propri punti di vista;
3. a trovare soluzioni di riparazione.
Ma da dove deriva il termine mediazione ?
La parola mediazione (dal latino tardo mediare, cioè a dire dividere, aprire nel mezzo) indica un processo mirato a far aprire canali di comunicazione che si erano bloccati a causa dell’illecito criminoso.
Le definizioni del concetto di mediazione da parte della dottrina.
1. Pisapia, definisce la mediazione “ una terra di mezzo, un luogo di ricostruzione, uno spazio sociale dove possano svilupparsi gli incontri tra reo e vittima ”.
2. Morineau definisce la mediazione “ uno spazio privilegiato per accogliere (e trasformare ) l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e dei vissuti che si legano all’esistenza di un conflitto”.
3. Bonafé-Schmitt, sostiene che “ la mediazione non è solo una risposta alle disfunzioni del sistema giudiziario, ma, in generale, è un modo di regolamentare le dispute ”.
Bonafé-Schmitt ci dice che in passato un gran numero di conflitti erano regolati nelle famiglie, nel quartiere, nell’azienda o grazie all’intervento di autorità morali come il maestro di scuola, il sacerdote, il sindaco.
Oggi tutti questi luoghi sono in crisi per cui occorre un percorso culturale nuovo che ci porta alla mediazione
Quindi : Si parte dall’esistenza di un conflitto; Vi è un soggetto terzo, imparziale, neutrale, confidenziale (che è il mediatore) che propone un modello consensuale di gestione dei conflitti. Vengono promossi degli incontri tra il reo e la vittima; Fa appello alla partecipazione attiva degli autori del reato e delle vittime
In tale contesto il mediatore è un consulente che si pone si pone in modo equidistante tra vittima e aggressore.
Il ruolo del mediatore consiste :
- nel restituire la parola alle parti per riprendere un dialogo.
- nel tentativo di raggiungere forme di riparazione.
A che cosa mira la mediazione ?
- Mira a superare la visione del reato quale atto isolato.
- Mira a leggere il reato nel contesto di complesse vicende relazionali ed umane.
- Mira ad offrire una maggiore attenzione ai veri protagonisti della vicenda (autore del reato e vittima).
- Mira a dare riconoscimento alla vittima di un reato, soggetto emarginato nel processo penale minorile (nel quale non può costituirsi neppure parte civile).
- Mira a restituire alla vittima la sua dignità di persona, rendendola protagonista attiva di una vicenda che la riguarda intimamente.
Pensiamo ad un caso pratico.
Pensiamo a chi subisce una rapina, un’aggressione, a chi subisce un comportamento lesivo di un diritto.
Ebbene le istituzioni fanno fatica a gestire il disagio, la paura, il rancore che la vittima può provare verso l’ autore di un reato commesso ai suoi danni.
Ed allora con la mediazione che cosa succede ?
Succede che :
1. la vittima ha l’opportunità di esprimere l’impatto che il reato ha avuto nella sua vita;
2. la vittima ha l’opportunità di ottenere risposte su ciò che è avvenuto;
3. l’autore del fatto è posto di fronte a ciò che ha commesso;
4. l’autore del fatto ha la possibilità di compiere un gesto positivo verso la vittima;
5. inizia un percorso che conduce i soggetti in conflitto ad essere responsabili l’uno verso l’altro.
La mediazione è uno scambio strumento di comunicazione; la riparazione (anche simbolica ) è il risultato di questo scambio comunicativo.
Ma che cosa s’intende per riparazione simbolica ?
Per riparazione simbolica s’intendono quei gesti positivi fra autore e vittima del reato.
Ci riferiamo ad esempio (alle scuse, alla stretta di mano ecc…) che le parti realizzano spontaneamente tra di loro.
I principi ispiratori dei progetti di mediazione ( per così dire le fonti).
I principi ispiratori vanno individuati negli indirizzi della comunità internazionale.
Le Nazioni Unite ed il Consiglio d’Europa da tempo sostengono la necessità di introdurre strumenti non giudiziari di risoluzione del conflitto penale, improntati alla mediazione e all’arbitrato.
Nelle “ Regole Minime di Pechino” delle Nazioni Unite all’art. 11 si afferma, per esempio, la possibilità di indirizzarsi verso metodi alternativi mantenendo il ricorso allo strumento processuale penale solo nei casi di extrema ratio.
L’iter culturale che ha portato alla mediazione penale nell’ambito della giustizia penale minorile.
I primi documenti ufficiali, praticamente le fonti, della mediazione sono :
Ø la Convenzione di New York del 1989 sui diritti dell’infanzia, in particolare l’ art. 40;
Ø le Regole di Pechino, dettate al IV congresso delle Nazioni Unite, nel 1985, in cui si sostiene l’utilizzo di misure extra giudiziarie che comportino la restituzione dei beni e il risarcimento delle vittime.
Ø Le Raccomandazioni comunitarie tra cui : la n. 87 del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 17 sett. 1987, che prevede per i minorenni l’opportunità di uscita dal circuito giudiziario e la ricomposizione del conflitto, attraverso forme di mediazione, che comportino la riparazione del danno causato;
Ø la Raccomandazione n. 99 del Consiglio d’Europa adottata dal comitato dei Ministri in data 19 Settembre 1999, in cui si sostiene l’introduzione della mediazione penale come strumento di risoluzione di conflitti.
Ø la Convenzione Europea di Strasburgo del 1996 ed in particolare l’art. 13;
Ø le Risoluzioni n. 27 e n. 28 della Dichiarazione di Vienna dell’aprile del 2000;
Ø la Decisione Quadro del Consiglio d’Europa del 15 marzo 2001 che chiedeva l’introduzione di una legge quadro sulla mediazione penale in tutti i paesi aderenti, entro il 22 marzo del 2006.
Nel 1999 è stata istituita una Commissione Nazionale Consultiva.
Questa Commissione ha fatto da ponte tra il Ministero della Giustizia, le Regioni, gli Enti Locali ed il Volontariato.
Essa ha approvato il documento intitolato “ L’attività di Mediazione nell’ambito della giustizia penale minorile ”.
In questo documento la Mediazione viene intesa :
- Come una diversa modalità di gestione del conflitto.
- Come un’ attività realizzata dal mediatore, che mette in relazione due parti che sono in conflitto.
- Essa non sostituisce la giurisdizione, ma è una risorsa operativa da utilizzare.
- Essa mette a confronto reo e vittima e favorisce la comprensione delle reciproche posizioni.
- Essa deve comunque coinvolgere il volontariato per il riconoscimento consolidato della funzione e del valore sociale.
Il processo penale minorile e la messa alla prova.
La sospensione del processo con messa alla prova, nell’ambito del processo penale minorile, previsto dall’art. 28 e 29 del DPR 448/88, prevede che il Giudice possa impartire prescrizioni : per consentire la riparare del reato e per promuovere la conciliazione del minorenne con la vittima.
Tale terminologia (utilizzata dal legislatore del 1988) ha spinto la dottrina ad assimilare questo istituto con quello della mediazione.
Questo istituto è stato definito mediazione di tipo processuale in quanto inserita nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale.
Proprio questa nozione ha reso possibile parlare della messa alla prova come luogo adatto per la mediazione penale e, dopo il DPR 448/88 nel sistema minorile italiano.
Quando la mediazione è inserita all’interno della messa alla prova contribuisce a responsabilizzare il minore mettendolo direttamente a confronto (fisicamente, non solo virtualmente) con la vittima e, quindi, cercando una pacificazione del conflitto.
La mediazione e la messa alla prova.
Con la messa alla prova (di cui la mediazione, come abbiamo detto, è parte integrante) il Giudice, sulla base di un progetto elaborato dai servizi minorili della giustizia, in collaborazione con i servizi sociali degli enti locali, può disporre la sospensione del procedimento.
Ciò avviene quando il Giudice ritiene di dover valutare la personalità del minore all’esito della prova del minore in affidamento agli stessi servizi sociali.
Esito che, se positivo, consente, ai sensi dell’art. 29 del DPR 448/88, la pronuncia di sentenza di estinzione del reato.
Essa può essere : alternativa alla pronuncia di condanna se disposta in dibattimento; allternativa allo stesso dibattimento, se disposta nell’udienza preliminare.
Ma quali sono le particolarità di questa misura ?
ü Le particolarità sono le prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato ed a promuovere la conciliazione con la persona offesa.
ü Le prescrizioni possono essere previste nel progetto d’intervento o individuate dai servizi incaricati.
ü La riparazione deve essere volontaria nell’ambito della conciliazione tra le parti.
ü la riparazione può consistere, in una attività di mediazione, una volta ottenuto il consenso della persona offesa ( = forma impropria di mediazione) .
Ma la sospensione del processo può essere assimilata alla mediazione ?
E’ solo un’assimilazione approssimativa ! Ciò perché il ruolo di mediatore viene svolto dal Giudice sulla base di un progetto elaborato dai servizi sociali dell’Amministrazione della Giustizia in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali.
Alcuni ritengono che la sospensione del processo non è una forma di mediazione.
Perché nel processo minorile l’attenzione è orientata esclusivamente a tutela del minorenne, mentre l’interesse nei confronti della vittima è solo indiretto.
Inoltre perché la persona offesa può trarre poca utilità da quest’istituto in quanto le sue pretese risarcitorie potranno difficilmente essere soddisfatte
- sia perché difficilmente il minore ha un patrimonio personale;
- sia perché difficilmente si riesce a trarre vantaggio nell’esercitare un’azione civile nei confronti dei genitori.
In conclusione il Giudice ha facoltà e non obbligo di impartire prescrizioni dirette :
ü a riparare le conseguenze del reato;
ü a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa, così come prevede l’art. 28 co. del c.d. Codice penale minorile (DPR 488/88).
Le esperienze di mediazione in Italia.
Le esperienze avviate in Italia hanno preso in considerazione principalmente due forme di mediazione.
La prima è una forma extraprocessuale che precede l’inizio del processo.
In particolare a Milano e a Torino si è scelto di dare ampio spazio alla mediazione svolta nella fase delle indagini preliminari.
Quindi dovrebbe essere alternativa al giudizio.
In questa prospettiva c’è chi, come Bouchard, auspica addirittura un potenziamento dell’istituto nel momento successivo alla ricezione della notizia di reato, per tutti quei reati che prescindono dagli automatismi della procedibilità d’ufficio.
I mediatori milanesi hanno evidenziato la presenza di alcuni rischi connessi ad un’applicazione troppo anticipata dell’istituto.
Essi ritengono che l’attività di mediazione deve essere preceduta dal preventivo accertamento della responsabilità del minore.
In ogni caso, l’immediatezza dell’incontro:
ü garantisce una risposta tempestiva alla situazione di disagio e di conflitto suscitata dal reato;
ü consente un incontro tra un minore, che ha commesso il fatto, e una vittima, che ha ancora desiderio di lavorare sulle angosce provocate dal comportamento deviante.
Noi invece riteniamo che un esito positivo della mediazione può costituire :
ü la premessa per una richiesta di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto;
ü la premessa per l’applicazione del perdono giudiziale.
I Centri per la Mediazione Penale Minorile in Italia.
I Centri per la Mediazione Penale Minorile al momento attivi (2009) in Italia sono diciotto e sono collocati ad Ancona, Bari, Bolzano, Brescia, Cagliari, Caltanisetta, Catanzaro, Firenze, Foggia, Genova, Latina, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Sassari, Trento, Torino e Venezia.
Quasi tutti questi centri, in origine, si occupavano solo di mediazione penale minorile.
Negli ultimi anni diverse realtà, come quella familiare, scolastica e sociale, hanno affiancato la mediazione penale.
Oggi diversi centri propongono iniziative mirate alla diffusione della mediazione.
Ci riferiamo ai giudici di pace, agli operatori degli enti locali, agli insegnanti.
La maggior parte dei Centri italiani fa riferimento al modello umanistico del “Centre de Mediation” di Parigi di Jacqueline Morineu.
La formazione di un mediatore.
Alla formazione iniziale ( generalmente un master ) seguono diverse iniziative per approfondire temi specifici, come :
il ruolo del mediatore, il tema della negoziazione o ed altre iniziative organizzate dal Dipartimento di Giustizia Minorile.
Sono cicli di seminari con mediatori provenienti da altri paesi nell’ambito di un Programma Operativo Nazionale di Sicurezza.
Ma qual è la prassi che segue un Centro di Mediazione ?
Inizialmente vi è un invito formale al minore fatto dall’Autorità Giudiziaria che propone la mediazione al minore;
in caso di assenso del minore viene data comunicazione al Centro di Mediazione e, in alcuni casi agli Uffici Servizi Sociali per i Minorenni.
Poi il Centro Mediazione raccoglie il consenso delle parti e valuta se la mediazione è fattibile.
In ogni caso è previsto un contatto per iscritto fra le parti ed un invito, da parte del Centro, a presentarsi per un primo colloquio.
La motivazione dell’incontro alcune volte rischia di ridursi solo ad un’azione di recupero del minore autore del reato, non riuscendo a dare alla vittima uno spazio di comprensione e di negoziazione.
Nel caso si verifichi un diniego da parte della vittima viene effettuata un secondo contatto perché la finalità è quella di far arrivare la vittima all’ufficio di mediazione.
Le fasi del processo di mediazione.
Il processo di mediazione, così come previsto dalle linee guida nel dipartimento di Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, lo possiamo schematicamente suddividere in 5 fasi:
Avvio, Fase preliminare, Incontro, Riparazione e Conclusione.
L’avvio alla mediazione può avvenire per iniziativa dei Servizi Minori dell’Amm.ne della Giustizia o su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, Tribunale o Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
L’avvio è una richiesta, indirizzata al Servizio di Mediazione, con cui occorre valutare la fattibilità della mediazione tra due soggetti coinvolti in una situazione conflittuale da cui ha tratto origine il reato.
La mediazione penale minorile oggi avviene prevalentemente come attività di indagine sulla personalità praticabile all’interno del progetto di messa alla prova.
La fase preliminare prevede una accoglienza del conflitto.
Prevede la raccolta e l’ analisi delle informazioni relative al contesto in cui si è sviluppato.
Tutto ciò al fine di verificare la praticabilità o meno della mediazione.
Il primo contatto è l’ occasione con cui il mediatore : acquisisce ulteriori informazioni sull’evento conflittuale;spiega alle parti il significato e le conseguenze del percorso di mediazione.
Alla fine si procede alla programmazione dell’incontro faccia a faccia.
L’incontro rappresenta il cuore del processo di mediazione; esso può svolgersi anche in uno o più colloqui cui partecipa il mediatore.
In linea generale, il mediatore è il primo a prendere la parola, introducendo le regole del dialogo ed invitando successivamente le parti a parlare.
Al termine di questa fase vi sono le proposte per la riconciliazione/riparazione; quindi le considerazioni finali del mediatore; da ultimo, l’eventuale accordo riconciliativo / riparativo sottoscritto da entrambe le parti; è prevista la possibilità di allargare l’incontro ai familiari delle parti.
Come si concretizza l’esito, se è positivo ?
L’esito, se è positivo, cioè se le parti sono soddisfatte del risultato, si concretizza spesso nelle scuse scritte che pervengono alla vittima e, talvolta, anche nel ritiro della querela da parte della persona offesa.
La conclusione rappresenta la chiusura della fase finale del percorso di mediazione.
La mediazione può implicare una riconciliazione fra autore e vittima di reato ed eventualmente un gesto riparatorio, anche simbolico soltanto.
Si registra, invece, esito negativo quando non si realizza alcuna intesa e non avviene alcun cambiamento nella relazione tra le parti.
Che cosa s’intende per mediazione non effettuata ?
Si definisce, inoltre “mediazione non effettuata” quando le parti hanno già ricomposto il conflitto.
Che cosa s’intende per mediazione non fattibile ?
La mediazione è “non fattibile” :
ü quando manca il consenso di una o di entrambe le parti,
ü quando non è stato possibile rintracciare gli interessati;
ü quando il mediatore ritiene inopportuno, per le peculiarità del caso concreto, di non avviare il percorso di mediazione.
Che cosa succede al termine degli incontri ?
Il Servizio per la mediazione, al termine degli incontri, comunica all'Autorità Giudiziaria e ai Servizi che l’hanno promossa l’esito dell'attività svolta.
Ogni Servizio per la mediazione dovrà predisporre un sistema di valutazione sul lavoro svolto.
Il Dipartimento per la Giustizia Minorile si farà carico di convogliare queste esperienze a livello nazionale in un supporto utilizzabile dal legislatore ai fini della tanto attesa normativa.
I Servizi aggiornano la rilevazione utilizzando l’apposita scheda elaborata dal Dipartimento per un monitoraggio dei dati su base nazionale.
Il gruppo tecnico di studio e di monitoraggio presso il Dipartimento per la Giustizia Minorile.
E’ stato istituito - presso il Dipartimento per la Giustizia Minorile - un gruppo tecnico di studio e di monitoraggio formato da rappresentanti del Dipartimento, delle Regioni e dei Servizi per la mediazione.
L’attività del gruppo tecnico ha l’obiettivo di accompagnare la cultura della mediazione dalla fase della eccezionalità e della sperimentazione a quella della normalizzazione dell’esperienza.
Dati statistici relativi agli interventi di mediazione
Il Dipartimento della Giustizia Minorile ha avviato nel maggio 2007 un processo di informatizzazione delle rilevazioni.
Prima del 2007, la rilevazione era effettuata a mezzo di schede cartacee.
Le rilevazioni sono indagini che annualmente rendono visibile l’impegno dei servizi di Mediazione penale minorile presenti in Italia.
Il patrimonio informativo rappresenta lo strumento conoscitivo del monitoraggio della mediazione penale minorile nazionale.
Ma qual è la situazione ad oggi?
Nell’ultimo anno sono stati segnalati quasi mille casi di minorenni che hanno commesso reati.
Di essi, solo nel 45% dei casi, è stato possibile effettuare la mediazione.
La mediazione è esercitata da operatori terzi imparziali ed indipendenti, in rapporto di “equiprossimità” o di “equivicinanza” alle parti.
Il mediatore deve mantenere il segreto sulle confidenze, ammissioni o testimonianze ricevute dall’imputato o apprese dai genitori di questi o dalla vittima, in relazione al reato per cui si procede.
Il mediatore non deve raccogliere informazioni o notizie relative ad altri reati che potrebbero essere stati commessi dalle parti in conflitto, in quanto esulano dall’oggetto della mediazione in atto.
Viceversa se egli acquisisse informazioni o notizie qualificate, il mediatore che rivesta la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sarebbe tenuto alla denuncia, quando si tratti di reato procedibili di ufficio.
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Avv. Raffaele Gaetano Crisileo