Leggevo con soddisfazione che il neo Ministro della Giustizia, nel recente pacchetto riforma, si è fatta promotrice di un decreto cosiddetto “svuota carceri” in cui, tra l’altro, è contemplato, per le persone detenute, la possibilità di scontare in regime di arresti domiciliari o di detenzione domiciliare gli ultimi 18 mesi di carcere.
Indubbiamente una norma del genere – che è una sorta di ampliamento di quella già in vigore dal novembre 2010, che prevedeva la detenzione domiciliare per i condannati che dovevano espiare gli ultimi 12 mesi di carcerazione - è sicuramente una norma che va vista positivamente.
Ciò perché essa consente da un lato allo Stato di risparmiare denaro, risorse ed energie e, dall’altro lato, perché consente al detenuto che ne beneficia di avere, più rapidamente, un’aspettativa di vita futura migliore, di pensare ad un progetto personale e familiare oltre il muro del penitenziario in cui è ristretto; di vedere uno spiraglio di luce oltre il buio dei cancelli del carcere che lo tiene rinchiuso.
Ma nonostante la oggettiva bontà del nuovo decreto cosiddetto “svuota carceri”, secondo me, una norma del genere è comunque insufficiente su un piano generale a fronteggiare i tanti problemi che affliggono il pianeta carcerario italiano che, come viene evidenziato spesso in articoli di stampa specializzati, è davvero al collasso più completo.
Infatti buona parte dei nostri penitenziari non hanno lo spazio vitale necessario per ospitare chi incorre nelle maglie della giustizia.
D’altronde questa è una realtà che io vivo ogni giorno, nella mia attività professionale di penalista, quando colloquio con i miei assistiti e sento il loro lamento unanime : “ Siamo tanti in una cella ecc..”
E quello di cui si lamentano i detenuti trova conferma nelle recenti statistiche che evidenziano un overbooking carcerario esagerato: in totale, sommando tutti i detenuti ristretti nei vari penitenziari italiani, si parla di un sovraffollamento pauroso.
Nelle nostre carceri ci sono oltre ventimila persone detenute in più rispetto a quelle previste dagli organigrammi e rispetto, soprattutto, a quelle che gli istituti possono contenere per fatto di programmazione, sicurezza, igiene e quant’altro.
Sono cifre, queste, che ci lasciano senza parola e di fronte alle quali noi non possiamo rimanere indifferenti sia come operatori del diritto, quali siamo, sia come cittadini e come persone che non possono consentire che altre persone, in questo momento detenute, perdano la loro umana dignità !
Ed allora il nostro dovere morale, prima che professionale, è quello di rappresentare a chi di dovere i disagi che i reclusi vivono; di rappresentare le situazioni drammatiche che li affliggono in modo tale che coloro che ci rappresentano e che devono decidere, su questi temi primari, importanti e delicati, qual è questo, lo facciano non solo tenendo presente una situazione globale ed effettiva (che, in questo settore carcerario, è disastrosa), ma che non perdano mai di vista la dignità della persona reclusa; dignità, questa, che deve essere rivalorizzata il più possibile affinchè il detenuto, una volta riacquistata la libertà, possa reinserirsi in società e non essere emarginato e, quindi, mai più ricadere nella commissione di reati.
Dalla lettura dei dati ufficiali comunicati, in quest’anno, oltre 900 detenuti hanno tentato il suicidio, il 5% di queste 900 persone è riuscito, invece, a togliersi la vita.
Ed allora ? Io credo che è necessario ed indispensabile adottare altre misure ancora, per fronteggiare questa drammatica emergenza : alcune nuove, fortemente innovative ed altre, poi, peraltro già in vigore, ma non decollate.
Misure, quelle cui faccio riferimento, che opererebbero sempre su quel sistema del doppio binario prima accennato: in primis risparmio di ingenti somme di denaro per lo Stato (cosa buona e giusta in tempo di austerity, come quello che stiamo vivendo); in secondo luogo miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti ponendo un adeguato freno al sovraffollamento della popolazione carceraria nei penitenziari.
Miglioramento di vita del detenuto che si ottiene con la conquista di un minimo spazio vitale nella struttura penitenziaria, che è il primo elemento fondamentale che serve per mettere in moto la macchina della funzione rieducativa e risocializzante nell’ambito della detenzione.
Tra le misure cui prima facevo riferimento, mi viene in mente quella del cd. braccialetto elettronico, introdotta nella nostra legislazione diversi anni fa, ma che, poi, è rimasta ferma; forse perché di ardua applicazione.
Io credo che se quella misura (introdotta con la Legge n. 4/2001, che ha modificato l'art. 275 bis del vigente codice di procedura penale con la quale il Giudice, concedendo il beneficio degli arresti domiciliari, può prescrivere speciali forme di controllo mediante l'uso di strumenti elettronici) venisse in un certo senso rivisitata, e forse anche un po’ semplificata, in un’era indubbiamente tecnologica come è la nostra, potrebbe essere un vero “benefit” e contribuire, per davvero, ad un notevole e progressivo svuotamento delle carceri italiani.
Io penso ancora che essa, ridisegnata in un contesto nuovo, potrebbe essere applicata anche a quelle persone detenute che rispondono di reati il cui titolo custodiale, oggi, è ostativo, per legge, alla concessione del beneficio degli arresti domiciliari in sostituzione della misura carceraria.
Sicuramente, in quell’ottica del doppio binario, l’effettiva applicazione di una norma del genere, con lo specifico riferimento ad esempio all’ impiego del cosiddetto 'braccialetto elettronico', una volta ridisegnato il suo campo di applicazione, consentirebbe allo Stato di ottenere gli stessi risultati della misura carceraria, vale a dire il controllo costante della persona sottoposta a misura detentiva attraverso, però, una forma di vigilanza a distanza sì, ma certa e sicura capace di assolvere alla funzione social preventiva della pena ( per i giudicati) e prevenire, in modo efficace, al rischio di recidiva (per i giudicabili).
Una forma di vigilanza, quella a distanza, poi, che consentirebbe di stigmatizzare e di punire anche la condotta di chi – una volta sottoposto alla misura degli arresti domiciliari o a quella della detenzione domiciliare - dovesse alterare il funzionamento dei mezzi elettronici adottati nei suoi confronti, per sottrarsi al controllo da parte degli organi di polizia.
In tale evenienza chi pone in essere una condotta del genere verrà di certo punito in quanto ha violato l’art.18 del decreto legge n. 341/2000; violazione questa che è assimilabile, in un certo qual senso, al reato di evasione.
La norma dell’art. 18, d’altra parte, è abbastanza chiara e non richiede che la persona che beneficia degli arresti domiciliari abbia alterato il cd. braccialetto elettronico utilizzato per controllarlo, in quanto è sufficiente, per integrare questa ipotesi di reato, qualsiasi condotta idonea ad alterare il funzionamento dell’ apparecchiatura.
In definitiva dobbiamo auspicare che, in breve tempo, dopo l’entrata in vigore del recente “decreto svuota carceri”, vengano approvate ed entrino in funzione nuove riforme che consentano di ridurre il più possibile l’attuale popolazione carceraria ristretta negli istituti.
In buona sostanza pensiamo che persone detenute non socialmente pericolose ancorché in attesa di giudizio (e quindi privi di una sentenza definitiva a carico), possano beneficiare di istituti alternativi che consenta allo Stato di risparmiare denaro e risorse e ad essi di pensare ad una vita futura, oltre la carcerazione, lontana dalla commissione di reati.
avv. Raffaele Gaetano Crisileo, avvocato penalista