Il
Senato, nei giorni scorsi, ha dato il via libera al provvedimento di riforma della custodia cautelare. Per diventare legge dello Stato, il testo,
ora, dovrà tornare alla Camera.
Le
novità riguardano i termini di custodia cautelare e le modalità
per l’adozione del provvedimento cautelare che
verrà applicato solo in caso di concreto e
attuale pericolo di
reiterazione, inquinamento delle prove o di pericolo di fuga.
Dunque
si ricorrerà alla custodia cautelare, in via del tutto eccezionale, tranne
nei casi di reati di particolare allarme
sociale, come terrorismo e mafia.
Il nuovo istituto della custodia cautelare in carcere verrà così
riformulato: “Quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli
articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale è applicata la custodia
cautelare in carcere … Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice
deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso
concreto, la misura degli arresti domiciliari”.
In
buona sostanza, la custodia cautelare in carcere diventerà misura residuale, al fine di ridurre la pericolosità
dell’indagato, in relazione alla sua eventuale fuga o intralcio al corso della
giustizia.
Il testo, almeno nella sua ratio, è finalizzato
a ridurre l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere ed a
ridurre il sovraffollamento della popolazione carceraria, attraverso una serie
di modifiche al codice di procedura penale che interessano principalmente la
valutazione e la motivazione del giudice e l’idoneità della custodia in
carcere.
Ma solo nel tempo,
quando la nuova norma verrà applicata, si vedrà se la finalità del legislatore sarà
stata raggiunta.
Ritornando
all’analisi del provvedimento, salta subito agli occhi che esso limita la discrezionalità del giudice nella
valutazione dei presupposti per l’applicazione delle esigenze cautelari.
Innanzitutto è
stato introdotto il criterio dell'attualità del
pericolo di fuga o di reiterazione del reato che non può più essere desunto dalla
sola gravità del reato per cui si procede.
Ciò, invero, non è propriamente
innovativo perché la Cassazione, da tempo, aveva stabilito, con molte pronunce
sul punto, che la sola gravità del reato era insufficiente a ritenere
sussistenti le esigenze di cautela.
Novità assoluta,
invece, è l’esclusione della custodia in carcere e degli arresti domiciliari in
due ben specifiche circostanze : quando il giudice ritenga che la eventuale
sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere (concessione della
condizionale); quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, sia possibile
sospendere l'esecuzione della pena con concessione di una misura alternativa.
Quando invece si
ipotizza un aggravamento delle esigenze
cautelari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può anche applicare,
congiuntamente, altra misura coercitiva
o interdittiva (attualmente il giudice, invece, può solo sostituire la misura in corso con
altra più afflittiva oppure può applicare
la prima con modalità più gravi).
Sono soppresse finalmente alcune disposizioni che
favoriscono il ricorso alla custodia in carcere. Ci riferiamo all’obbligo
per il giudice di revocare gli arresti domiciliari e applicare la custodia in
carcere in caso di trasgressione del divieto di allontanarsi dalla propria
abitazione; ci riferiamo al divieto, per il giudice, di concedere gli arresti
domiciliari al condannato per evasione nei cinque anni precedenti al fatto per
il quale si procede.
E’ stato, poi,
ampliato (da due a dodici mesi) il termine di efficacia delle misure
interdittive (sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori;
dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio; divieto temporaneo di
esercitare attività o professionali).
Quanto
all’applicazione della custodia in carcere, novità importante è che la sua presunzione di idoneità opera soltanto ed
esclusivamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
per i delitti di associazione sovversiva, terroristica e mafiosa.
Per altri reati
gravi, tra cui l’omicidio, la violenza sessuale ecc … è vero che è possibile applicare la custodia
in carcere, ma salvo che siano acquisiti elementi dai quali non sussistono
esigenze cautelari che possano essere soddisfatte con altre misure.
E non solo ! Nel
disporre la custodia cautelare in carcere, il giudice ha l’obbligo di motivare sufficientemente
il perché ritiene che l’ uso del cd. braccialetto elettronico non sia idoneo a
tutelare le esigenze di cautela.
E’ stato,
parimenti, rafforzato l’ obbligo di
motivazione autonoma da parte del giudice in merito alla
ricorrenza delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di
cautela non possono essere soddisfatte con altre misure
La mancanza di
"autonoma valutazione" da parte del giudice è motivo di annullamento dell'ordinanza
cautelare in sede di riesame.
Infine è stato modificato
anche il procedimento di riesame
presso il tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono
una misura coercitiva.
L'udienza camerale,
se ricorrono giustificati motivi, può essere rinviata, dal tribunale, per un
minimo di cinque ed un massimo di dieci giorni. Stesso discorso per il deposito
della motivazione sulla decisione
sull'ordinanza del riesame.
Al mancato deposito
in cancelleria, entro trenta giorni dalla deliberazione, dell'ordinanza del
tribunale del riesame consegue la perdita di efficacia dell'ordinanza che
dispone la misura coercitiva.
Diventa, poi,
possibile differire, per giustificati motivi, la data dell'udienza camerale del
tribunale in sede di riesame delle ordinanze relative a misure cautelari reali
(sequestro conservativo o preventivo).
Circa l'appello avverso le ordinanze che
dispongono misure cautelari personali, viene precisato che la decisione
sull'appello del tribunale del riesame (entro venti giorni dalla ricezione
degli atti) sia assunta con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta
giorni dalla deliberazione.
Dopo l'annullamento con rinvio di
un'ordinanza che ha disposto una misura coercitiva, il giudice del rinvio
decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e deposita in cancelleria
l'ordinanza nei trenta giorni dalla deliberazione. La mancata decisione nei
termini stabiliti comporta la perdita
di efficacia della misura coercitiva.
Il provvedimento ha
subito alcune modifiche in Commissione Giustizia del Senato :
·
è reintrodotta la
possibilità (soppressa dalla Camera) che, nel corso delle indagini preliminari,
il riferimento a specifici
comportamenti dell'indagato (es. rifiuto di rendere dichiarazioni,
mancata ammissione degli addebiti, personalità desunta dai comportamenti) possa
giustificare le esigenze cautelari;
·
si è operata
un'ulteriore modifica: la custodia cautelare in carcere può essere applicata solo
per i reati per i quali è previsto un massimo di pena superiore ai cinque anni;
·
è stata reintrodotta la norma che
prevede, nel caso di trasgressione
agli obblighi derivanti dagli arresti domiciliari, l'automaticità
dell'emissione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere. Si è,
tuttavia, mitigata l'automaticità dell'ingresso in carcere, consentendo al
giudice una valutazione circa la lieve
entità del fatto;
·
è stata modificata la disciplina del riesame delle
misure cautelari ed i termini da
ordinatori diventano perentori; dunque
ad una violazione dei termini, consegue la perdita di efficacia della misura cautelare;
·
in caso di perdita di
efficacia, l'ordinanza cautelare non
può essere rinnovata, tranne che non vi siano eccezionali esigenze
cautelari.
Questi, per grossi linee, le novità della riforma che, per
valutare i suoi effetti, una volta approvata, occorre valutarla sotto un
profilo pratico, in punto di attuazione e di esecuzione.