Le nostri radici
identitarie non posso andare disperse o dimenticate. Sono le nostri
radici, le radici dei nostri avi, la nostra cultura e l’orgoglio di essere
meridionali. Ricordare la nostra storia e lo splendore del Regno delle due
Sicilie, le tradizioni e la cultura e farne memoria grata è un tema sfidante
soprattutto in un periodo, come quello in cui viviamo, in cui la nostra Terra,
il Meridione d’Italia, viene menzionata e ricordata solo per eventi “nefasti”.
Ma i nostri posteri non devono dimenticare la nostra radice identitaria, il
nostro brillante passato borbonico ed i suoi splendori ed andarne fieri e, a
loro volta, hanno il compito morale di tramandarne la memoria alle generazioni
future. Cosi il passato potrà essere ricordato nel presente e mai dimenticato
nel futuro. Le pietre saranno vive e i ricordi di quegli splendori culturali
continueranno a rivivere dentro di noi. I posteri faranno memoria del
‘700 napoletano quando il Sud passò a Carlo III di Borbone che, con i suoi
averi personali, ricompose lo Stato attraverso la cultura. Atto di grande
generosità storica, la sua! Egli salito al trono di Napoli a soli diciotto anni
la rese capitale di uno Stato indipendente, prosperoso di grandissimi
capolavori. Egli “sovrano illuminato” era un vero mecenate che amava
circondarsi di intellettuali e di artisti che ponevano in primo piano
l’intelletto umano contro l’ignoranza e la superstizione. Gli intellettuali
napoletani svolsero dunque un ruolo sociale e culturale di primissimo piano.
Questo fu il ‘700 napoletano, un periodo in cui la scuola fu
istituzione per eccellenza: ogni città del Regno ebbe una scuola pubblica
primaria e quella religiosa le fa da supporto che permise a tutti di imparare a
leggere ed a scrivere. Fiori l’Università con le diverse specializzazioni. Ai
primi del ‘800 fu istituita l’Accademia delle Belle Arti, l’Accademia
Navale, la Scuola Militare della Nunziatella, il Convitto Universitario di
Medicina e di Chirurgia, quello di Musica ecc. Finalmente i seminari poterono
funzionare e la popolazione al Sud raddoppiò grazie al progresso civile e
sociale. Furono costruite strade, la terra venne data a chi la lavorava e lo
sviluppo dell’industria e della navigazione in pochi anni raggiunse importanti
primati. Le ferrovie fecero la loro prima apparizione a Napoli e la flotta
mercantile del Regno delle due Sicilie era seconda solo a quella inglese. La
disoccupazione era inesistente: gli operai lavoravano otto ore al giorno e
guadagnavano abbastanza; fu istituito un sistema pensionistico. Vennero
costruiti sul territorio numerosi ospedali ed ospizi e in quel periodo il tasso
di mortalità infantile fu il basso degli altri Stati preunitari. Il 13 febbraio
1861 è una data memorabile: Antonio Gramsci ebbe parole di apprezzamento
per la questione meridionale che sorse in quel periodo. Non vi è dubbio che il
Sud ha pagato un prezzo enorme alla causa unitaria. Oggi, dopo 150 anni da
quegli eventi, sotto un profilo di critica storica, che giudizio possiamo dare?
E’ certamente innegabile che i Borboni hanno segnato per noi meridionali un
periodo storico importante che andrà sempre ricordato cosi come va
rivalorizzata la figura di Francesco II, l’ultimo re del Regno delle Due
Sicilie, un uomo re profondamente cattolico che amava il suo popolo e che, pur
regnando per poco più di un anno, ebbe il tempo di varare varie riforme: di
concedere più autonomie ai comuni, di emanare amnistie, di migliorare le
condizioni dei carcerati, di eliminare l’imposta sul macinato, di ridurre le
tasse doganali, di far aprire le borse di cambio a Reggio Calabria. Inoltre,
essendoci una carestia fece comprare il grano all’estero per rivenderlo
sottocosto alla popolazione e per donarlo alle persone più indigenti. Ed allora
come può essere dimenticata questa figura di uomo dallo spiccato senso della
carità cristiana? La risposta è una sola”.