giovedì 22 giugno 2017

Le nostri radici identitarie di Raffaele G. Crisileo


Le nostri radici identitarie  non posso andare disperse o dimenticate. Sono le nostri radici, le radici dei nostri avi, la nostra cultura e l’orgoglio di essere meridionali. Ricordare la nostra storia e lo splendore del Regno delle due Sicilie, le tradizioni e la cultura e farne memoria grata è un tema sfidante soprattutto in un periodo, come quello in cui viviamo, in cui la nostra Terra, il Meridione d’Italia, viene menzionata e ricordata solo per eventi “nefasti”. Ma i nostri posteri non devono dimenticare la nostra radice identitaria, il nostro brillante passato borbonico ed i suoi splendori ed andarne fieri e, a loro volta, hanno il compito morale di tramandarne la memoria alle generazioni future. Cosi il passato potrà essere ricordato nel presente e mai dimenticato nel futuro. Le pietre saranno vive e i ricordi di quegli splendori culturali continueranno a rivivere dentro di noi. I  posteri faranno memoria del ‘700 napoletano quando il Sud passò a Carlo III di Borbone che, con i suoi averi personali, ricompose  lo Stato attraverso la cultura. Atto di grande generosità storica, la sua! Egli salito al trono di Napoli a soli diciotto anni la rese capitale di uno Stato indipendente, prosperoso di grandissimi capolavori. Egli “sovrano illuminato” era un vero mecenate che amava circondarsi  di intellettuali e di artisti che ponevano in primo piano l’intelletto umano contro l’ignoranza e la superstizione. Gli intellettuali napoletani svolsero dunque un ruolo sociale e culturale di primissimo piano.  Questo fu il ‘700 napoletano, un  periodo in cui la scuola fu istituzione per eccellenza: ogni città  del Regno ebbe una scuola pubblica primaria e quella religiosa le fa da supporto che permise a tutti di imparare a leggere ed a scrivere. Fiori l’Università con le diverse specializzazioni. Ai primi del ‘800  fu istituita l’Accademia delle Belle Arti, l’Accademia Navale, la Scuola Militare della Nunziatella, il Convitto Universitario di Medicina e di Chirurgia, quello di Musica ecc. Finalmente i seminari poterono funzionare e la popolazione al Sud raddoppiò grazie al progresso civile e sociale. Furono costruite strade, la terra venne data a chi la lavorava e lo sviluppo dell’industria e della navigazione in pochi anni raggiunse importanti primati. Le ferrovie fecero la loro prima apparizione a Napoli e la flotta mercantile del Regno delle due Sicilie era seconda solo a quella inglese. La disoccupazione era inesistente: gli operai lavoravano otto ore al giorno e guadagnavano abbastanza; fu istituito un sistema pensionistico. Vennero costruiti sul territorio numerosi ospedali ed ospizi e in quel periodo il tasso di mortalità infantile fu il basso degli altri Stati preunitari. Il 13 febbraio 1861 è una data memorabile:  Antonio Gramsci ebbe parole di apprezzamento per la questione meridionale che sorse in quel periodo. Non vi è dubbio che il Sud ha pagato un prezzo enorme alla causa unitaria. Oggi, dopo 150 anni da quegli eventi, sotto un profilo di critica storica, che giudizio possiamo dare? E’ certamente innegabile che i Borboni hanno segnato per noi meridionali un periodo storico importante  che andrà sempre ricordato cosi come va rivalorizzata la figura di Francesco II, l’ultimo re del Regno delle Due Sicilie, un uomo re profondamente cattolico che amava il suo popolo e che, pur regnando per poco più di un anno, ebbe il tempo di varare varie riforme: di concedere più autonomie ai comuni, di emanare amnistie, di migliorare le condizioni dei carcerati, di eliminare l’imposta sul macinato, di ridurre le tasse doganali, di far aprire le borse di cambio a Reggio Calabria. Inoltre, essendoci una carestia fece comprare il grano all’estero per rivenderlo sottocosto alla popolazione e per donarlo alle persone più indigenti. Ed allora come può essere dimenticata questa figura di uomo dallo spiccato senso della carità cristiana? La risposta è una sola”.