lunedì 17 gennaio 2011

LA CRIMINALITÀ GIOVANILE di RAFFAELE GAETANO CRISILEO((*)

Fra i tanti problemi che oggi sconvolgono la nostra società, quello della criminalità giovanile non è di lieve entità, anzi esso ne rappresenta uno dei più gravi ed allarmanti, in quanto si manifesta in un continuo crescendo ed arriva ad interessare ormai quasi tutti gli aspetti della vita dell’uomo, da quello economico a quello sociale e psicologico. 

Avv.Raffaele Gaetano Crisileo 
Non solo per capire, ma anche per analizzare e tentare di dare una soluzione a tale grave problema, è oltremodo necessario possedere una visione globale e, al tempo stesso, priva di preconcetti di quella che è la realtà giovanile, rimanendo comunque consapevoli del cambiamento dei valori unitamente al mutare dei tempi, della cultura e delle persone. 

 A questo punto diviene necessaria una lettura degli atteggiamenti e delle condotte adottate dai giovani, senza fermarsi sui luoghi comuni e sugli stereotipi. Occorre, d’altra parte, tenere conto del fatto che la velocità con cui s’instaura il mutamento della personalità umana, della cultura storica e biogenetica dell’uomo è assai più lento rispetto a quello della tecnica e dell’organizzazione sociale[1].

 Per affrontare dettagliatamente tutti i problemi inerenti alla criminalità giovanile, è importante una definizione dei termini utili per individuare e definire nel modo più lineare possibile il fenomeno della criminalità minorile, che è sempre più al centro dell’attenzione, dato il numero continuamente crescente di minorenni che, singolarmente o in gruppo, a causa della loro condotta, rientrano in questa problematica.

Ai sensi delle vigenti leggi, si intende per “minore” quell’individuo che non ha ancora compiuto la maggiore età – i diciotto anni – limite che, prima del 1975, era invece fissato a ventuno anni e risulta pertanto imputabile, cioè oggetto di procedimento penale, solamente nel momento in cui diviene autore di reato e solo nella fascia di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, dopo appositi accertamenti. Per “condotta”si intende tutto quel complesso di atteggiamenti che un individuo assume come propri, in relazione alle varie situazioni in cui si trova ed agli stimoli esterni, cioè ambientali, che si ripercuotono su di esso, provocando delle specifiche ed a volte impreviste reazioni. Bisogna sottolineare, altresì, che siccome i comportamenti di un soggetto risultano essere l’espressione dello status della propria psiche, la condotta dell’uomo viene inevitabilmente dettata dalla strutturazione della propria sfera interiore.

   Per “criminalità minorile”, invece, si intende l’insieme dei fatti che portano al reato i giovani nella suddetta fascia di età e per comprendere il significato del concetto di criminalità minorile, inoltre, esso è stato distinto in tre differenti tipologie: vi è una criminalità minorile fisiologica, intesa come una condotta deviante che, nella maggior parte dei casi, è destinata a riassorbirsi con l’ingresso dei giovani nell’età adulta; una criminalità minorile patologica che si concretizza nel momento in cui un minore viene coinvolto nella criminalità organizzata; una criminalità minorile patologica relativa ai minorenni stranieri, residenti nel nostro Paese, che sono indotti al crimine in età precoce molto spesso perché vissuti in contesti di marginalità, conflitti culturali, disadattamento e deprivazione.

Non bisogna, comunque, confondere o unificare il concetto di devianza con quello di criminalità, riservando al primo solamente quelle condotte contrarie all’opinione pubblica.

Uno studio accurato del fenomeno della criminalità giovanile offre spunti di riflessione anche da un punto esclusivamente quantitativo, in quanto può essere distinto in reale ed ufficiale: tale differenziazione viene dettata dalla necessità di prendere inevitabilmente in considerazione il cosiddetto numero oscuro che rappresenta tutti quegli eventi delittuosi non denunciati e di conseguenza non registrati. Le motivazioni che alimentano questo fenomeno sono svariate ed oscillano dal perdono all’occultamento del misfatto perché il reo, per esempio, può appartenere ad una famiglia che ricopre una certa importanza sociale e pertanto interessante a non essere coinvolta in pubblici scandali. Il numero oscuro si modifica in base alla tipologia del reato: esso diminuisce, per esempio, per la maggior parte di quei reati che, a causa della risonanza sociale o per gli interventi economici correlati, sono più frequentemente denunciati come l’omicidio o il furto d’auto; mentre aumenta nel caso della violenza sessuale, che viene celata o per vergogna o per paura di avanzare una querela. Altra distinzione si deve fare con la criminalità percepita, cioè quella che il singolo cittadino o la collettività ritengono presente sul territorio. Generalmente, soprattutto in Italia, c’è una percezione della criminalità sovrastimata rispetto al dato reale; questo dipende da fattori individuali e sociali, e ciò accade soprattutto nelle zone dove c’è un alto senso di insicurezza[2]. Un’attenta analisi del fenomeno della criminalità giovanile non può prescindere solamente dall’esame dei fattori che sono alla base di una personalità criminale, ma deve tenere in considerazione anche l’ambiente in cui essa si sviluppa.

Per comprendere la natura delle motivazioni che determinano una condotta criminale nel minore è necessario sia fare ricorso ad un approccio “generalizzato” – rappresentato dalla conoscenza di tutti quei fenomeni legati alla società che influenzano e riguardano contemporaneamente più individui – e/o ad un approccio “individualistico”, che ha l’obiettivo di individuare l’esistenza di una soglia di vulnerabilità propria di ogni individuo, cercando di mettere in relazione il proprio essere con le influenze ambientali stabilendo le loro modalità di ricezione, interiorizzazione, sublimazione e/o rifiuto, nonché le reazioni che ne conseguono. Una valutazione obiettiva, dunque, della condotta criminale necessita di una visione globale che tenga conto simultaneamente tanto delle cause sociali della criminalità, cioè degli squilibri e delle ingiustizie della società, quanto delle diverse modalità di risposta del singolo individuo. È chiaro, quindi, come risulterebbe estremamente riduttivo ed errato ritenere la criminalità quale semplice espressione di fattori biologici, innati o acquisiti dall’individuo, in quanto si escluderebbe qualsiasi responsabilità da parte di una società, piena di contraddizioni e ingiustizie: in tale modo, il delinquente risulterebbe solo una vittima, senza che gli venga riconosciuta alcuna responsabilità della scelta e delle decisioni da assumere per caratterizzare la sua condotta che, d’altro canto, risulterebbe libera da ogni vincolo decisionale personale[3].

Per quanto riguarda le cause ambientali o sociali è possibile affermare che la condotta di un individuo non è immune dall’influenza esercitata dalla cultura, dai costumi, dalla religione e dal livello economico della società, soprattutto nel caso del minore che risulta essere un individuo altamente recettivo e sensibile agli stimoli esterni, molto più facilmente influenzabile dell’adulto, dal momento che egli presenta una condizione psico-fisica in piena evoluzione.

L’ambiente socio-culturale, dunque, in cui avviene la maturazione del minore incide notevolmente sulla strutturazione della sua personalità nonché sulla formazione di un eventuale comportamento antisociale. Si è potuto constatare inoltre che, ove l’ambiente socio-culturale sia caratterizzato da un basso livello di istruzione e da precarie condizioni economiche, lo sviluppo della personalità verso una direttiva antisociale del minore è molto più rapido e certo.

Se teniamo conto del fatto che il primo nucleo sociale che accoglie il minore è rappresentato dalla famiglia ben si comprende come difficilmente un minore si comporti nella società diversamente da come gli è stato insegnato dal nucleo familiare.

Il minore che compie atti devianti, infatti, produce un’istintiva reazione negli adulti, ed è sempre l’implicito segno di un punto di osservazione diverso rispetto alla considerazione del medesimo atto compiuto da un adulto.

Volendo fare una fotografia del fenomeno, osservando i suoi attori che risultano dalle statistiche ufficiali prodotte dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, possiamo notare un cambiamento della tipologia di persone all’interno delle carceri: un dato che suscita preoccupazione è l’aumento di minori di anni 14 denunciati- la denuncia è un momento rilevante della risposta sociale e del controllo della devianza minorile, in quanto esprime la propensione delle istituzioni e dell’opinione pubblica a intervenire e a reagire sul fenomeno- e tale aumento ha avuto il suo più evidente picco negli anni ’90, affermandosi poi successivamente; quello che appare è l’ingresso precoce nel circuito penale. La preoccupazione è data dal fatto che si tratta di ragazzi, forse meglio definibili bambini, di quella fascia d’età che nella nostra legislazione non è perseguibile penalmente, ma che può solo incorrere nelle misure di sicurezza quali il riformatorio e la libertà vigilata oppure, in quanto non punibili, non sono addirittura previsti interventi specifici.

Un’ipotesi di questo aumento potrebbe essere legato ad una maggiore sensibilizzazione sociale circa i problemi dei minori e che quindi comportamenti devianti vengano visti e denunciati; potrebbe essersi quindi verificato un atteggiamento  critico e attivo nella segnalazione di episodi delittuosi.

Oltre ad un aumento delle denunce è anche cambiata la qualità della criminalità minorile, cioè si sono aggravati i reati attribuiti ai minori; gli adolescenti, con sempre maggior frequenza, mettono in atto non solo comportamenti devianti in quanto tali, ma si fanno protagonisti di azioni di una certa gravità. L’aumento più consistente si ha tra i reati contro la persona e la famiglia. Tradizionalmente la criminalità minorile è stata caratterizzata da reati contro il patrimonio, oggi invece si rendono protagonisti di lesioni volontarie, omicidi e violenze sessuali.

Per quel che riguarda gli stranieri, negli ultimi tempi si è notato un notevole incremento della loro presenza nelle carceri o nei Centri di Prima Accoglienza; si tratta di ragazzi provenienti soprattutto dal nord Africa, dall’Est dell’Europa e dai paesi slavi (nomadi), che si rendono protagonisti nella maggioranza dei casi di reati contro il patrimonio e l’economia con furti, scippi e spaccio di stupefacenti; terreno fertile per le loro azioni delittuose sono soprattutto le aree centro-settentrionali. 

 (*) Avvocato penalista -  Perfezionato in Criminologia